Babbo Natale non abita in Lapponia, ma in via Cimone, dotato del carisma di Gigi Proietti in Io sono Babbo Natale. Da lì ci spostiamo al Pigneto, in via Macerata, con il commissario Carlo Verdone sulle tracce della pericolosa Micaela Ramazzotti, alias Zora la vampira.
Fino a giungere in una location particolarmente intrisa di fantasticherie, densa di mistero ed evocatrice di emozioni dark, il quartiere Coppedè: al civico 2 di piazza Mincio c’è sia la casa di Gregory Peck, padre dell’Anticristo nell’horror Il presagio, sia l’inquietante biblioteca visitata da Eleonora Giorgi in Inferno di Dario Argento.
Meglio allontanare i brividi spostandoci in via della Pace: di fronte alla chiesa omonima c’è il palazzo abitato da Eduardo De Filippo e occupato dai bonari spiriti di Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman in Fantasmi a Roma. Da qui passiamo in piazza San Francesco di Paola, sede del vicolo maledetto più antico della storia di Roma, la Salita dei Borgia: pane per i denti di Dario Argento, che qui fa camminare la figlia Asia nell’apocalittico La terza madre. Attraversando l’isola Tiberina, altro antichissimo luogo di suggestioni ancestrali, in compagnia dei Freaks Out di Gabriele Mainetti, ci dirigiamo verso l’Eur, che negli anni Sessanta suggeriva scenari futuribili per L’ultimo uomo della terra con l’icona horror Vincent Price e per il fumetto dark Satanik. Ultima tappa a Tor Bella Monaca: in via dell’Archeologia abita il Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, il primo supereroe de’ noantri.
1. Via Cimone, 100 (Montesacro)
VIA CIMONE: IO SONO BABBO NATALE DI EDOARDO FALCONE
IL LUOGO
Via Cimone è una delle strade più suggestive del quartiere di Montesacro, situato nella zona nord-est di Roma. Un susseguirsi di villini eleganti, molti dei quali a due o tre piani, con tanto di giardini e torrette, ideati da importanti architetti negli anni Cinquanta e Sessanta.
Sono palazzine molto graziose, che regalano alla strada un aspetto quasi londinese e che fanno parte del progetto di Città Giardino, concepito agli inizi del Novecento per favorire il decentramento della popolazione in crescita nei quartieri più centrali di Roma.
LA STORIA
La casa di Babbo Natale non si trova in Finlandia o in Lapponia, ma a Roma, al civico 100 di via Cimone.
L’atmosfera fiabesca delle palazzine, resa ancor più magica dalle luci e dalla fotografia di Maurizio Calvesi, ha convinto uno dei nostri migliori registi contemporanei, il romano Edoardo Falcone (autore anche del soggetto e della sceneggiatura) a far trasferire Babbo Natale proprio in uno di questi villini, e a scegliere come protagonista un campione della romanità come Gigi Proietti, qui alla sua ultima interpretazione (il film è uscito nelle sale il 3 novembre 2021, nel primo anniversario della morte dell’attore), che ci saluta con un colpo d’ala da maestro.
Lo affianca Marco Giallini, nel ruolo di un ladro appena uscito dal carcere di Regina Coeli che si appresta a svaligiare la villetta dell’anziano Nicola Natalizi (il solo nome avrebbe dovuto insospettirlo) e scopre invece un enorme magazzino di giocattoli con tanto di slitta di legno ed elfi.
Anomalo nel panorama del cinema italiano quanto la via lo è nel contesto urbanistico cittadino, Io sono Babbo Natale è una favola deliziosa in cui tutto funziona a meraviglia: dalle scenografie curatissime di Massimiliano Sturiale ai costumi di Luigi Bonanno, dai dialoghi brillanti di una sceneggiatura ben oliata, ai tempi perfetti della recitazione di tutti gli attori, fino ai sorprendenti effetti speciali, così rari nella produzione nostrana.
Merito di una formula originale e azzeccata che mescola felicemente fantasy, comicità e apologo morale, assai più profondo di quanto la confezione apparentemente per famiglie non lasci presagire.
NELLE VICINANZE
In via Montecristo 6, dal 1953 fino alla sua morte avvenuta nel 1972, ha vissuto Ennio Flaiano, “con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole”, come recita la lapide che il quartiere Montesacro ha affisso sulla casa, citando una delle sue fulminanti frasi (estratta dal libro Diario degli errori). Flaiano, oltre a essere uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, fu un acuto critico cinematografico e geniale sceneggiatore di un centinaio di film. Tra questi, vari capolavori di Federico Fellini come I vitelloni, Le notti di Cabiria, La dolce vita, Otto e mezzo e Giulietta degli spiriti.
2. Piazza Mincio, 2 (Trieste)
QUARTIERE COPPEDÈ: INFERNO DI DARIO ARGENTO (1980)
IL LUOGO
Piazza Mincio è l’anima del Quartiere Coppedè, piccolo scrigno fiabesco vicino al centro ma fuori dai percorsi turistici. Gino Coppedè (1866-1927), scultore e architetto fiorentino di straordinaria ricchezza inventiva e sfrenata fantasia decorativa, capace di fondere liberty e art-déco, gotico e barocco, gusto medievale e manierismo rinascimentale, progettò il quartiere nel 1915 per conquistare la borghesia dell’età umbertina con l’arma della meraviglia e lo completò nel 1926. 26 palazzine, 17 villini e, al centro, la Fontana delle Rane. Il manifesto artistico è scritto sul Palazzo del Ragno al numero 4, così chiamato per la decorazione sul portone di un ragno in mezzo alla tela, probabile allusione all’arte dell’architetto: “Artis praecepta recentis maiorum exempla ostendo” (“Mostro gli esempi degli antichi come norme dell’arte contemporanea”).
LA STORIA
L’atmosfera esoterica delle bizzarre architetture del Quartiere Coppedè ha reso Piazza Mincio il set prediletto dai registi horror. Su tutti Dario Argento, che lo sceglie per L’uccello dalle piume di cristallo (1970) e lo mette al centro di Ti piace Hitchcock? (2005).
Non stupisce che il cinema sia stato attratto da un palazzo, quello al numero 2, che proprio dal cinema è nato, visto che fu ispirato all’architetto Coppedé dal film Cabiria (1914), diretto da Giovanni Pastrone e scritto da Gabriele D’Annunzio. Più di sessant’anni dopo è diventato, con Inferno (1980), la location di una delle sequenze più impressionanti della filmografia di Argento.
Il regista, al quale il critico Giovanni Grazzini propose di conferire “una laurea honoris causa in tecnologia degli spaventi”, percepisce l’aura folle emanata da queste palazzine, romantica durante il giorno ma sinistra e perturbante di notte, e decide di sfruttarla per – osserva ancora Grazzini – “ritrovare le radici fantastiche del cinema, facendo leva sul colore e sul sonoro, con una furbizia spettacolare cui si deve tanto di cappello”.
Sulla base di un libro di Thomas De Quincey, Argento elabora una trilogia sulle tre madri degli Inferi, iniziata con Suspiria, continuata con Inferno e conclusa con La terza madre.
Il palazzo di Piazza Mincio 2, che nel film è la biblioteca situata in una fittizia Via dei Bagni, è la dimora della Mater Lacrimarum. La Sara interpretata da Eleonora Giorgi vi arriva in taxi, in una notte di tregenda: il palazzo è la sede della Biblioteca Filosofica, e la donna è venuta a cercare l’antico libro “Le tre madri” dell’alchimista Emilio Varelli ma la visita, palpitante di brividi e presenze allucinanti, finirà malissimo. A moltiplicare l’ansia, poi, ci pensa la musica di Keith Emerson.
NELLE VICINANZE
Nel villino di via Serchio 2 ha abitato dal 1927 al 1957, anno della sua morte, Beniamino Gigli, uno dei più celebri cantanti dell’opera lirica, ma anche attore di successo, protagonista di oltre venti film diretti da Carmine Gallone, Augusto Genina, Carlo Campogalliani, Mario Costa e altri registi importanti dell’epoca. Ancora oggi la palazzina è nota come Villino Gigli.
3. Piazza Mincio, 2 (Trieste)
QUARTIERE COPPEDÈ: IL PRESAGIO DI RICHARD DONNER (1976)
IL LUOGO
L’atmosfera singolare del quartiere Coppedè si percepisce già dal grande lampadario in ferro sull’arco all’inizio di via Dora, che sembra introdurci in un borgo fantastico, quasi una Bomarzo all’interno di Roma. Intorno alla Fontana delle Rane si stagliano palazzi dall’aspetto e dal nome curioso, come i Villini delle Fate, dalle forme irregolari e composti da materiali vari (marmo, vetro, terracotta, laterizio, travertino), il Palazzo del Ragno, decorato da mostri e draghi, e il Palazzo degli Ambasciatori.
Gli edifici presentano scritte in latino che invitano alla quiete e alla serenità: “Domus pacis” (Casa della pace), “Domino laetitia praebeo” (Dono gioia al padrone), “E petra firmitas ex arte venustas” (Dalla pietra la solidità, dall’arte la bellezza”). Invece il cinema ne ha colto il fascino sinistro e inquietante, facendone lo scenario ideale per spaventosi horror.
LA STORIA
Gregory Peck passa con la sua auto sotto l’arco del lampadario e parcheggia di fronte al civico 2 di Piazza Mincio dove abita il personaggio che interpreta ne Il presagio, Robert Thorn.
Sono trascorsi 23 anni dalle Vacanze romane con Audrey Hepburn – siamo nel 1976 – e il soggiorno a Roma stavolta sarà ben diverso da quello spensierato e romantico di allora. Nel ruolo di un diplomatico americano, Peck accetta di scambiare il proprio figlio, morto durante il parto, con un neonato orfano che si trova nello stesso ospedale. Peccato che il piccolo Damien si rivelerà presto l’Anticristo, partorito da uno sciacallo.
Le scene iniziali in Piazza Mincio introducono all’atmosfera diabolica che pervade l’intero film e che, tra l’altro, ne ha funestato la lavorazione, conferendogli la fama di uno dei più maledetti della storia del cinema.
L’aereo su cui viaggia Gregory Peck viene colpito da un fulmine e, dopo pochi giorni, un altro fulmine colpisce l’aereo sul quale si trova lo sceneggiatore David Seltzer. Un piccolo aereo noleggiato per realizzare le riprese dall’alto precipita, investendo l’auto in cui ci sono la moglie e il figlio del pilota: muoiono tutti e tre. John Richardson, autore degli effetti speciali del film, come quello della decapitazione del fotografo Jennings interpretato da David Warner, è vittima di un incidente d’auto in Belgio in cui la fidanzata muore decapitata, di fronte a un cartello stradale che indicava la città di Ommen, quasi omonima del titolo originale del film (The Omen).
Vincitore del Premio Oscar per la migliore colonna sonora di Jerry Goldsmith, la pellicola è un tale successo da essere stata seguita da sequel e un remake, uscito il 6 giugno 2006: 666, il numero del diavolo.
NELLE VICINANZE
Via Tagliamento 9 è ancora oggi la sede del Piper Club, la discoteca più famosa di Roma, fenomeno di costume e regno del beat fin dal 1965, che ha ospitato i grandi cantanti dell’epoca, a partire dalla “ragazza del Piper” Patty Pravo. Frequentata anche da attori e registi, questo storico locale è stato il set di moltissimi film. Non solo musicarelli come Altissima pressione (1965) di Enzo Trapani, ma anche pellicole dirette, ad esempio, da Dino Risi, che sulla pista del Piper fa ballare Vittorio Gassman ne Il Tigre (1967) e Ugo Tognazzi in Straziami ma di baci saziami (1968).
4. Via Macerata, 12 (Pigneto)
CINEMA AVORIO: ZORA LA VAMPIRA DEI MANETTI BROS (2000)
IL LUOGO
Il nome Pigneto deriva dai pini piantati alla fine del XVIII secolo dalla famiglia Caballini lungo il muro della settecentesca Villa Serventi. Inizialmente zona periferica di ville private e terreni agricoli, il quartiere si espande con la costruzione di edifici di stile eterogeneo e casette basse e colorate che ancora oggi lo connotano. Diventata nel Novecento una zona popolare abitata dal sottoproletariato e guardata con diffidenza dalla borghesia, oggi il Pigneto è un quartiere alla moda, dotato di un fascino vintage, pieno di locali e ristoranti di tendenza.
Oltre al cinema Aquila, oggi multisala della via omonima, in via Macerata 12 c’è il cinema Avorio, storica sala di quartiere poi degradata fino a diventare a luci rosse, infine chiusa nel 2009 e ora usata come biblioteca autogestita o locale per mostre di street art.
LA STORIA
Vent’anni prima di Diabolik, i Manetti Bros trasferiscono sul grande schermo un altro fumetto, Zora la vampira, striscia horror erotica di Renzo Barbieri pubblicata negli anni Settanta.
Il film segna il loro esordio cinematografico e molti sono i motivi per cui, ancora oggi è considerato un cult movie. La pellicola è infatti il debutto come protagonista di Micaela Ramazzotti, all’epoca ventenne, viene inoltre prodotto e interpretato da Carlo Verdone e vi compaiono anche, in ruoli minori, Valerio Mastandrea e la pornostar Selen.
Ma è proprio il guazzabuglio di generi a caratterizzarlo, fino a renderlo un prodotto anomalo nel panorama nostrano.
La miscela di horror e comicità si colora di denuncia sociale, perché il romeno Dracula, arrivato in Italia con un barcone di albanesi attratto da programmi televisivi come Carramba che sorpresa!, finisce nel mondo degli immigrati della periferia romana. Il commissario Lombardi, interpretato da Verdone nel ruolo inedito del poliziotto stupido e cattivo, sceglie come quartier generale per svolgere le sue indagini sulle misteriose morti vampiresche proprio lo squallido cinema Avorio a luci rosse nel cuore del Pigneto. Tantissimi poi i rimandi al rap, ai centri sociali, al cinema di Quentin Tarantino, al trash dei B-Movie e dei fumetti anni Settanta, al linguaggio dei videoclip e all’arte dei writers.
La critica si è divisa tra chi lo ha stroncato come un pastrocchio indigesto e chi lo ha definito il corrispettivo italiano di Dal tramonto all’alba di Robert Rodriguez. Senz’altro è un prodotto da recuperare, non solo come curiosissimo film di nicchia, ma soprattutto per scoprire la sorgente da cui è scaturita la visione cinematografica dei Manetti, iniziata così quasi per gioco e oggi applaudita alla Mostra di Venezia.
NELLE VICINANZE
Viale Castrense, l’arteria che unisce San Giovanni al Pigneto è stata set di numerosi film importanti. Nel punto in cui inizia la Tangenziale est, abita il ragionier Ugo Fantozzi nella lunga serie di film interpretati da Paolo Villaggio. Lungo il viale si addestra, nel 1961, Il federale Ugo Tognazzi e, trent’anni dopo, suo figlio Ricky vince l’Orso d’Argento al Festival di Berlino per aver diretto Claudio Amendola e gli altri tifosi di Ultrà (1991) nella zona sopra via degli Orti Variani, poco distante.
5. Via della Pace, 8 (Ponte)
PALAZZO GAMBIRASI: FANTASMI A ROMA DI ANTONIO PIETRANGELI (1961)
IL LUOGO
Siamo nel cuore di Roma. A pochi metri dall’affollata piazza Navona, via della Pace è un’oasi di tranquillità che tiene fede al suo nome. Deriva dalla chiesa di Santa Maria della Pace, legata a un’antica leggenda. Si dice che nel 1480 un soldato ubriaco tirò una sassata contro il volto della immagine della Vergine Maria collocata sotto il portico (oggi trasferita sopra l’altare maggiore) e che la Madonna iniziò a sanguinare.
Proprio di fronte alla chiesa, al civico 8, sorge Palazzo Gambirasi. Costruito nel 1659 dall’architetto Giovanni Antonio De Rossi, viene acquistato da un monsignore proveniente da una famiglia di mercanti bergamaschi, Donato Gambirasi. “Gambirasia”, come riportato sull’altana e sullo stemma della famiglia affisso al portone, che ritrae un gambero con una croce tra le chele e la scritta “Crux tua exhaltatio mea” (“La tua croce è la mia esaltazione”).
LA STORIA
Passeggiare per queste antiche vie del centro storico, cariche di storia e profumate di passato, con le colonne del Chiostro del Bramante sullo sfondo, dà in effetti l’impressione di poter scorgere qualche fantasma dei secoli trascorsi.
E il suggestivo Palazzo Gambirasi, in cui nel film vive il principe Roviano – Eduardo De Filippo, è per l’appunto abitato dagli spettri dei morti della sua famiglia, rimasti ad aggirarsi tra quelle mura. Tra questi, il libertino Marcello Mastroianni, il frate Tino Buazzelli, la dama Sandra Milo e un bambino, a cui si aggiungono il pittore Vittorio Gassman e lo stesso principe.
Tutti insieme, vestiti con abiti di antica foggia, cercano di impedire che l’ultimo erede della casata venda il palazzo per farlo demolire e sostituire da un supermercato.
Il cast stellare e la scrittura firmata da sceneggiatori del calibro di Ennio Flaiano, Ettore Scola, Sergio Amidei e Ruggero Maccari ne fanno una commedia anomala per il nostro cinema, dalle atmosfere magiche e surreali, che intende rendere omaggio proprio all’importanza del Genius loci presente nei vecchi palazzi romani e denunciare la speculazione edilizia (siamo nel 1961, in pieno boom economico) che rischia di distruggere la bellezza dei centri storici.
Dirige Antonio Pietrangeli, uno dei migliori registi della sua generazione, famoso per il perfezionismo con cui cura ogni ciak, ripetendo ogni scena 15 volte (per poi magari scegliere la seconda girata), fino a esasperare gli attori. Mastroianni, Manfredi e Tognazzi hanno dichiarato di averne grandissima stima ma di avere spesso rifiutato di lavorare con lui per evitare carichi eccessivi di stress.
NELLE VICINANZE
Nella poco distante Piazza Navona è visibile, sopra la Fontana del Nettuno, la terrazza dell’attico nel quale è stata girata la scena cult dello spogliarello della prostituta Sophia Loren per il cliente Marcello Mastroianni in Ieri, oggi, domani (1963) di Vittorio De Sica (poi replicata in Prêt-à-Porter di Robert Altman, nel 1994). Nella stessa piazza abitano Romolo (Maurizio Arena) e Salvatore (Renato Salvatori), spavaldi protagonisti di Poveri ma belli, diretto nel 1956 da Dino Risi.
6. Piazza San Francesco di Paola (Monti)
SALITA DEI BORGIA: LA TERZA MADRE DI DARIO ARGENTO (2007)
IL LUOGO
La suggestiva scalinata che collega via Cavour alla piazza della chiesa di San Pietro in Vincoli è un luogo misterioso, reso maledetto da una serie di leggende su macabri omicidi, risalenti addirittura al 535 a.C. È in quell’epoca che il passaggio prende il nome di Vicus Sceleratus, teatro dell’uccisione di re Servio Tullio per mano del genero Lucio Tarquinio e della figlia Tullia che, per spregio, sarebbe in seguito passata più volte con il carro sopra il cadavere del padre.
Secondo la tradizione qui hanno abitato anche i Borgia e il balcone sopra l’arco della scalinata è quello di Vannozza Cattanei, amante di papa Alessandro VI e madre di Lucrezia Borgia. Si racconta che la notte del 14 giugno 1497 Giovanni Borgia sia stato ucciso proprio su questa scalinata con nove coltellate dal fratello Cesare, che ha poi gettato il cadavere del suo congiunto nel Tevere.
LA STORIA
L’aura sinistra della Salita dei Borgia, con il suo ambiente oscuro così carico di storie inquietanti su intrighi e assassini (cui si aggiunge la leggenda che il fantasma di Vannozza appaia talvolta alla finestra sopra l’arco), non poteva passare inosservata allo sguardo visionario del maestro dell’horror Dario Argento.
Qui il regista ambienta una sequenza de La terza madre (2007), il film che conclude la trilogia iniziata con Suspiria (1977) e continuata con Inferno (1980).
Dopo la Mater Suspiriorum e la Mater Lacrimarum, la terza è la Mater Tenebrarum e, prima di raggiungere il covo di quest’ultima, l’archeologa Sarah, interpretata da Asia Argento, scende le scale della Salita dei Borgia. L’atmosfera notturna di questa scenografia stratificata e composta di storia romana, medievale, rinascimentale e cinquecentesca, resa ancor più affascinante da una tradizione nerissima, fa di questo luogo il set ideale per una discesa verso la regina degli Inferi.
Ma nel film è tutta Roma a essere in preda a una demoniaca follia omicida, con la crescente ondata di orrore che inizia con la prima sequenza, girata da Argento a Palazzo Braschi in piazza San Pantaleo, e che attraversa pian piano l’intera città. Dalla madre che getta il suo bambino nel Tevere da Ponte Sant’Angelo, fino ad arrivare a piazza San Pietro in Vincoli, nella quale Asia Argento fa fermare il taxi per inseguire le streghe.
NELLE VICINANZE
“Qui visse Mario Monicelli, maestro di cinema e uomo libero. 1915-2010”. Così si legge nella lapide affissa al numero 29 di via dei Serpenti, la strada che collega via Cavour a via Nazionale, per ricordare il luogo dove ha abitato il grande regista, una delle personalità più eclettiche e vivaci del nostro cinema, autore di capolavori quali L’armata Brancaleone, I soliti ignoti e La grande guerra.
7. Isola Tiberina (Trastevere)
ISOLA TIBERINA: FREAKS OUT DI GABRIELE MAINETTI (2021)
IL LUOGO
Per festeggiare la cacciata di re Tarquinio il Superbo, i romani gettano nel Tevere le scorte di grano da lui accumulate. Da questa massa di covoni, secondo la leggenda, sarebbe nata nel 509 a. C. l’Isola Tiberina.
Un’altra storia racconta invece lo sbarco di un serpente divino, rappresentante del dio della medicina Esculapio, da una nave che attraversa il Tevere, per stabilirsi sull’isola, consacrandola così a quella scienza: prima con un tempio che nel III secolo a.C. sconfigge una terribile pestilenza, oggi con l’ospedale Fatebenefratelli.
Da allora la tradizione ha fatto di questo lembo di terra un luogo sacro, sede di guarigioni e miracoli.
Nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola, il luogo di culto che si trova sull’Isola Tiberina, è conservata una palla di cannone sparata nel 1849 e penetrata all’interno della chiesa durante una messa affollatissima, senza fare vittime.
LA STORIA
Un kolossal tutto azione ed effetti speciali, come i blockbuster americani ma italiano.
Un cocktail ben shakerato di Fellini e X-Men, Bastardi senza gloria e L’armata Brancaleone, Roma città aperta e I soliti ignoti, passando per Miracolo a Milano e Il mago di Oz. Con fotografia, scenografie e costumi impeccabili per un cinema nostrano che pensa in grande e che dimostra di saper essere all’altezza delle migliori produzioni straniere.
Per confezionare il suo fertile guazzabuglio postmoderno, Gabriele Mainetti dimostra una particolare sensibilità per la scelta dei luoghi, che non si limitano a fare da sfondo ma costituiscono il linguaggio necessario a dare anima ai contenuti.
Così la protagonista Aurora Giovinazzo nel ruolo di Matilde, ragazza dal superpotere elettrico che si esibisce per un circo durante la Seconda guerra mondiale, si imbatte in due nazisti proprio sull’Isola Tiberina.
Dietro i soldati tedeschi si vede il Ponte Fabricio (Il ponte più antico di Roma, risalente al 62 a.C., citato da Orazio nelle Satire come il prediletto dai suicidi che si gettavano nel Tevere), che collega l’isola al ghetto ebraico e, sullo sfondo, si può scorgere la cupola della Sinagoga.
Il corto circuito tra romanità antica, memoria dei rastrellamenti nazisti e citazionismo cinefilo che omaggia la Marvel e Quentin Tarantino, acquista una certa potenza in questi luoghi.
L’obiettivo del giovane e talentuoso Mainetti è quello di spremere i succhi più magici della sua città e metterli in frizione con la mescolanza di generi che il film squaderna, sprigionando emozioni inedite.
NELLE VICINANZE
All’estremità del Ponte Fabricio, in via di Ponte Quattro capi, c’è la Trattoria Sora Lella, storico ristorante romano, inaugurato nel 1940 a Campo de’ Fiori e trasferito successivamente sull’Isola Tiberina nel 1959.
Set di molti film come Scusi lei è favorevole o contrario? (1966) di Alberto Sordi, il locale è stato fondato e gestito da Elena Fabrizi (1915-1993). Espressione della romanità più genuina, imbattibile caratterista insieme al fratello Aldo, la Sora Lella – così è conosciuta a Roma – è stata protagonista di numerose commedie, ma a consacrarla definitivamente sono stati i film di Carlo Verdone.
8. Via Rhodesia (EUR)
VIA RHODESIA: L’ULTIMO UOMO DELLA TERRA DI UBALDO RAGONA (1964)
IL LUOGO
Voluto negli anni Trenta da Mussolini per l’Esposizione Universale di Roma del 1942 (poi impedita dalla guerra), l’EUR è un quartiere del quadrante sud di Roma ideato dall’architetto Marcello Piacentini.
Qui l’impronta neoclassica si mescola allo slancio visionario di artisti che cercano di dare un’identità al regime, affondando le radici nella romanità ma abbracciando al contempo la visione di un futuro proteso verso l’alto.
Elegante nell’urbanistica e imponente nei monumenti spettacolari, l’EUR è stato set di numerosi film.
LA STORIA
Un’orribile epidemia ha trasformato gli uomini in esseri a metà tra zombi e vampiri: solo il dottor Morgan non è stato contagiato ed è rimasto il solo essere umano al mondo a combattere quei mostri e a cercare altri possibili lontani superstiti.
È la storia di Io sono Leggenda, il romanzo scritto nel 1954 da Richard Matheson e portato per la prima volta sullo schermo da questo film di culto girato in Italia da Ubaldo Ragona nel 1964, quando gli scenari apocalittici e il genere distopico non erano ancora di moda.
Oltre alla memorabile interpretazione di Vincent Price, la forza espressiva del film sta proprio nella felice scelta dell’EUR come location allucinata.
Da via Rhodesia, nella quale il protagonista si ferma con la sua auto a fare benzina da una autocisterna abbandonata, alla Basilica dei Santi Pietro e Paolo, dal parco del Luneur al Fungo, Ragona dimostra con quest’opera come la scarsità di mezzi aguzzi l’ingegno.
Infatti il bassissimo budget a disposizione non ha permesso alla troupe di andare a girare in California (dove la storia sarebbe ambientata) né di servirsi di costosi effetti speciali. Così è stato sufficiente inquadrare il protagonista che vaga solitario in una Roma deserta e silenziosa, tra le architetture aliene e metafisiche del Palazzo dei Congressi e del Palottomatica, per creare un clima spettrale da dopobomba.
L’abilità del montaggio alterna alle location dell’EUR alcune sequenze girate al Foro Italico, in zona Flaminio, ma l’omogeneità urbanistica e architettonica illudono lo spettatore in modo assai credibile, come se si trattasse dello stesso quartiere. Dopo questo film, il romanzo di Matheson ebbe altre tre versioni cinematografiche: 1975 Occhi bianchi sul pianeta Terra (1971) con Charlton Heston, Io sono Leggenda (2007) con Will Smith e I am Omega (2007) con Mark Dacascos.
NELLE VICINANZE
“Sembra di abitare in una dimensione di un quadro, c’è un’atmosfera liberatoria” … “Mi sembra che questo quartiere vada a stimolare un senso di libertà, un qualcosa di sospeso, un orizzonte piatto; ci sono edifici creati per fantasmi, per statue”: con queste parole Federico Fellini racconta il suo amore per l’EUR.
Il regista riminese ambienta qui l’episodio Le tentazioni del dottor Antonio di Boccaccio ’70 (1962), con la scalinata della Basilica dei Santi Pietro e Paolo e Anita Ekberg sullo sfondo del Palazzo della Civiltà Italiana.
9. Piazza Pakistan,1 (EUR)
RISTORANTE IL FUNGO: SATANIK DI PIERO VIVARELLI (1968)
IL LUOGO
L’aspetto dell’EUR, moderno quartiere del quadrante sud della Capitale, contrasta nettamente con l’aura della Roma più conosciuta: larghi viali alberati anziché vicoli stretti, bianchi edifici moderni al posto di antiche mura, spazi ariosi razionalmente strutturati invece di vicoli bui e tortuosi.
Costruito durante il fascismo e voluto da Mussolini per ospitare l’Esposizione Universale del 1942 e celebrare le imprese del regime, a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale, l’esposizione non ebbe mai luogo.
Il quartiere, però, è ancora in piedi, con molto verde, un laghetto artificiale, un palazzo dello sport, un obelisco dedicato a Marconi e un Luna Park.
LA STORIA
La dimensione del quartiere dell’EUR risulta così aliena e universale che non solo non sembra romano ma nemmeno italiano.
Molto spesso quando un film è ambientato all’estero e la produzione non ha il budget per andare negli Stati Uniti o in Inghilterra, ecco che il set viene allestito all’EUR, un mondo a parte che potrebbe appartenere a qualsiasi nazione.
È quello che fa Piero Vivarelli, regista di un Satanik ambientato a Madrid e Ginevra ma nella realtà girato all’EUR.
Il locale di flamenco di Madrid in cui si svolge la sparatoria con la polizia è un ristorante in piazza Pakistan 1, si chiama Il Fungo ed è possibile andarci a mangiare ancora oggi.
Percorriamo pochi metri e ci spostiamo in viale Iran 20 per avere l’impressione di trovarci a Ginevra, nella villa sul lago del Club Chez Moi che si vede nel film.
Il cinema di genere degli anni Sessanta è abituato a sopperire alla miseria del budget con l’arte di arrangiarsi. Siamo nel 1968 e l’argomento è di quelli che all’epoca facevano storcere il naso al pubblico perbene: il trasgressivo fumetto horror-erotico firmato da Magnus & Bunker (il disegnatore Roberto Raviola e lo scrittore Luciano Secchi) considerato sconveniente per i giovani.
Come altri tentativi del periodo di trasferire sullo schermo fumetti di successo come Diabolik e Kriminal, anche questo ha il piglio dilettantesco di una spy story alla 007 confezionata in chiave pop con venature sexy-horror.
Rappresenta la prima esperienza nel cinema di Pupi Avati, come aiutoregista e attore in un ruolo di contorno (come lo stesso Vivarelli).
In un’intervista Avati ha poi dichiarato che quest’esperienza lo ha convinto a mettersi anche lui dietro la macchina da presa, perché se era diventato regista Vivarelli, potevano diventarlo tutti.
NELLE VICINANZE
L’EUR può contraffare lo spazio ma anche il tempo. Non solo, infatti, può essere scambiato per la California, la Spagna o la Svizzera, ma anche per il mondo del futuro.
Lo intuisce Elio Petri, che vi ambienta La decima vittima (1965), una distopia di pessimismo futuribile. Il bar frequentato da Marcello Mastroianni, protagonista della pellicola, si trova sul tetto del Palazzo dei Congressi, mentre il Ministero è il Velodromo Olimpico, demolito nel 2008.
10. Via dell’Archeologia, 71 (Tor Bella Monaca)
VIA DELL’ARCHEOLOGIA: LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT DI GABRIELE MAINETTI (2015)
IL LUOGO
Tor Bella Monaca è una città nella città. Caratterizzato da una forma simile a una banana, è il quartiere situato all’estremo limite orientale del territorio comunale di Roma.
Intorno al XIII secolo, per via di una torre di proprietà della famiglia Monaci, la zona inizia a essere chiamata Torre Pala Monaca e, successivamente, Torre Bella Monaca.
La borgata sorge tra gli anni Venti e Trenta del XX secolo, ma è nel secondo Dopoguerra che la zona inizia a prendere sembianze simili a quelle attuali, con i piani di edilizia regolarizzati e la costruzione di edifici economici e popolari.
LA STORIA
In un condominio popolare di via dell’Archeologia, al civico 71, dove la povertà e lo spaccio la fanno da padroni, abita il protagonista Enzo Ceccotti-Claudio Santamaria, uno spiantato che vive di espedienti.
Una notte, per sfuggire alla polizia dopo un furto, Enzo si getta nel Tevere, dove viene contaminato da sostanze radioattive e acquista dei superpoteri che lo rendono fortissimo e invulnerabile.
L’esordio alla regia di Gabriele Mainetti nasce dallo spunto geniale di innestare il canovaccio tipico dei supereroi della Marvel su un ladruncolo di borgata.
Il risultato è un’opera prima che rievoca il miglior cinema italiano di genere degli anni Settanta, quello ricco di idee e di umori oltre che di una tecnica di solido artigianato.
L’ambientazione in un contesto di crudo neorealismo, condito con tutti gli ingredienti che rendono un plot avvincente come thriller, noir, umorismo, commedia sentimentale, violenza e azione, completano questa brillante opera.
Il titolo richiama il manga giapponese Jeeg Robot d’acciaio di Go Nagai, lettura preferita della giovane Alessia, che confonde i fumetti con la realtà e scambia Enzo per l’Hiroshi Shiba che si trasforma nel supereroe Jeeg Robot. A interpretarla, un’esilarante Ilenia Pastorelli, qui in una delle sue prime prove.
E poi c’è l’azzeccatissimo villain con i tratti spigolosi di Luca Marinelli nei panni dello Zingaro, che conferisce alla storia la giusta vena di follia mista a ridicolo.
NELLE VICINANZE
Qui a Tor Bella Monaca l’attore Marco Bocci ha girato la sua opera prima come regista, A Tor Bella Monaca non piove mai (2019). Tratto dal romanzo omonimo da lui stesso scritto, il film è dedicato alla vita difficile di due fratelli, interpretati da Libero De Rienzo e Andrea Sartoretti, che abitano in un quartiere disagevole e abbandonato e sono condannati al crimine, senza l’opportunità di diventare supereroi.
(Testi a cura di Fabio Canessa, podcast a cura di Alessandra Accardo)
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