Il viaggio nel tempo attraverso la Roma cinematografica inizia dal cuore di Trastevere e passa in rassegna i personaggi tradizionali e le maschere popolari dell’Ottocento romano.
In piazza Trilussa Nino Manfredi rivela di essere Pasquino in Nell’anno del Signore di Luigi Magni mentre, pochi metri più avanti, il Rugantino di Adriano Celentano lancia un gatto morto dentro il palazzo nobiliare di piazza Santa Maria in Trastevere. Da qui, basta attraversare Ponte Sisto per trovare, in piazza Farnese, l’abitazione del Malato immaginario Alberto Sordi.
Riattraversiamo il Tevere e arriviamo a Castel Sant’Angelo, dove si conclude la tragica vicenda della Tosca di Monica Vitti, mentre in via della Tribuna di Campitelli e nella vicina piazza Capizucchi sono ambientate le beffe spassose di altri due leggendari personaggi popolari romani: Il marchese del Grillo Alberto Sordi e Il conte Tacchia Enrico Montesano.
Dopo una deviazione in via Baccina, per dare un’occhiata alla casa di tolleranza in cui lavora Mariangela Melato in Film d’amore e d’anarchia di Lina Wertmüller, in piazza Santi Giovanni e Paolo ci aspetta un altro mito della romanità plebea, interpretato da un altro gigante dello spettacolo romano: Meo Patacca alias Gigi Proietti.
Questo primo percorso si conclude con due tappe eccentriche, all’Eur e sulla via Nomentana, dedicate al peplum e all’età umbertina. Anziché affidarsi alle pacchiane ricostruzioni in cartapesta, Messalina venere imperatrice cammina sulla scalinata del Palazzo della Civiltà Italiana, mentre Villa Mirafiori è la residenza di Giancarlo Giannini nelle vesti di Tullio Hermil, il dandy infanticida ne L’innocente di Luchino Visconti.
1. Via Nomentana, 118 (Nomentano)
VILLA MIRAFIORI: L’INNOCENTE DI LUCHINO VISCONTI (1976)
IL LUOGO
Villa Mirafiori è un sontuoso palazzo, ricco di storia e di suggestioni. Nota per essere una delle ville storiche più eleganti di Roma, si trova nel cuore del quartiere Nomentano, tra via Antonio Nibby e via Carlo Fea.
Dopo la proclamazione di Roma a Capitale d’Italia, è il re Vittorio Emanuele II a farla costruire nel 1874 per l’amata Rosa Vercellana, contessa di Mirafiori. I due si sposano proprio all’interno della villa il 7 ottobre 1877, con rito civile e un matrimonio morganatico, cioè senza l’attribuzione alla sposa del titolo di regina. Ma solo pochi mesi dopo, il 9 gennaio 1878, il re muore e la bella Rosin si trasferisce a Pisa. Dopo essere diventata la sede della Dame del sacro Cuore, nel 1930, nel 1975 Villa Mirafiori viene acquistata dall’Università La Sapienza. Ancora oggi lo stabile ospita la Biblioteca di Filosofia e parte del Dipartimento della medesima facoltà.
LA STORIA
L’innocente è il neonato che Tullio Hermil (Giancarlo Giannini) uccide, esponendolo al freddo della notte di Natale, perché nato dalla relazione extraconiugale della moglie Giuliana (Laura Antonelli). Il mostruoso delitto avviene a Villa Mirafiori, dove abitano i protagonisti del film tratto dal romanzo omonimo di Gabriele D’Annunzio e pubblicato nel 1892.
Luchino Visconti, affascinato e respinto allo stesso tempo dall’estetismo decadente dannunziano, traccia un ritratto spietato dell’aristocrazia dell’età umbertina, svelando l’abisso morale che si nasconde dietro lo sfarzo lussuoso di quella società e criticando la vuota convenzionalità dell’istituzione della famiglia.
Il rapporto di amore e odio con il poeta dell’Alcyone rende il film un omaggio e una critica al gusto dannunziano, mentre il dandy anticonformista non è altro che un uomo dominato dai sensi e dalla smania di supremazia sulle donne: la moglie e la sua amante, la contessa Teresa (Jennifer O’Neill).
Nonostante il film cambi il finale del libro per rovesciare il mito del superuomo in una sconfitta dell’esaltazione egocentrica, l’atmosfera di morbosa preziosità non tradisce il romanzo. Anzi, fonde le poetiche dello scrittore e del regista. Sia quelle interiori, accentuando la tormentata introspezione autocritica del personaggio, che quelle esteriori, grazie alle sontuose scenografie di Mario Garbuglia e dei costumi di Piero Tosi.
L’innocente è un film in cui la forma è il contenuto, con gli ambienti stile Impero e gli arredi d’epoca magnificamente immortalati dalla fotografia di Pasqualino De Santis. Mentre nei saloni raffinati di Villa Mirafiori risuonano le musiche di Mozart e Chopin.
È stata l’ultima opera di Visconti, che morì prima che il film uscisse nelle sale.
NELLE VICINANZE
Di fronte a Villa Mirafiori, in via Giuseppe Marchi 1, abitava Giovanni Grazzini (1925-2001), uno dei più importanti critici cinematografici italiani. Nato a Firenze e giornalista per La Nazione, diventò firma storica del Corriere della Sera e fu presidente del Sindacato nazionale critici cinematografici. Le sue recensioni, inconfondibili per l’affabile brillantezza della scrittura e il notevole spessore culturale, sono state raccolte da Laterza in una collana annuale dai primi anni Sessanta al 1993, per un totale di 22 volumi, imperdibili per gli amanti del genere.
2. Castel Sant’Angelo – Lungotevere Castello, 50 (Prati)
CASTEL SANT’ANGELO: LA TOSCA DI LUIGI MAGNI (1973)
IL LUOGO
Ci troviamo davanti a uno dei monumenti più celebri di Roma, situato sulla riva destra del Tevere all’altezza di Ponte Sant’Angelo, protagonista della storia della città fin dal 130 d.C., quando l’imperatore Adriano lo fa costruire per farne il suo mausoleo.
Nel 590 d.C., durante una terribile epidemia, papa Gregorio I dichiara di aver visto in cima al castello l’arcangelo Michele che riponeva nel fodero la spada. In quel momento la pestilenza finisce e da allora la fortezza prende il nome di Castel Sant’Angelo, con la statua di Michele mentre rinfodera la spada che troneggia sulla sua cima.
Rifugio sicuro per i pontefici, per molti secoli è un tribunale e una prigione: tra gli altri vengono rinchiusi tra le sue mura Benvenuto Cellini e Giordano Bruno. Dopo l’unità d’Italia, diventa una caserma e poi la sede di un museo tra i più visitati della nazione.
LA STORIA
Alle guardie venute ad arrestarla sul tetto di Castel Sant’Angelo che le raccomandano di stare attenta a non cadere, Monica Vitti risponde: “Non cado. Me butto!”.
È la chiave buffa che Luigi Magni sceglie per mettere in scena la Tosca più antiaccademica della storia del cinema, tralasciando il melodramma di Giacomo Puccini e richiamandosi direttamente all’opera teatrale scritta nel 1887 da Victorien Sardou, un drammaturgo parigino che dimostrò di conoscere bene la Roma papalina e ambientò la storia nel giugno 1800, nei giorni della battaglia di Marengo.
Serbando intatta la carica libertaria del testo, Magni trasfigura la storia d’amore e la denuncia contro il potere, fondendole nella cifra inedita di un musical romanesco che si avvale delle composizioni originali di Armando Trovajoli. Molti di questi brani, come Nun je da’ retta Roma, col tempo sono entrati a far parte del folto repertorio di Gigi Proietti, che nel film interpreta il pittore Cavaradossi.
Maestro delle pellicole in costume ambientate nella Roma dell’Ottocento, Magni raggiunge qui uno dei vertici della sua carriera, grazie anche a un cast stellare che vede, oltre ai due straordinari protagonisti sopracitati, anche Vittorio Gassman nel ruolo del malvagio Scarpia e due giganti dello spettacolo romano come Aldo Fabrizi e Fiorenzo Fiorentini, entrambi strepitosi nella caratterizzazione dei loro ambigui personaggi.
Un’operazione coraggiosa e assai controcorrente. Sia perché il genere del musical in Italia non è mai stato apprezzato dal pubblico (se ne sono girati pochi e quasi tutti di scarso successo), sia perché gli amanti della lirica generalmente esigono la fedeltà al prototipo e tendono a rifiutare modernizzazioni o arrangiamenti scanzonati come questo, certo lontano dal linguaggio pucciniano.
NELLE VICINANZE
Dietro Castel Sant’Angelo, in piazza Cavour 22, si trova lo storico cinema Adriano, il più antico di Roma. Nato come teatro nel 1898, ha visto esibirsi direttori d’orchestra del calibro di Pietro Mascagni, Richard Strauss e Wilhelm Furtwangler. Diventato, nel Dopoguerra, una sala cinematografica, è stato anche utilizzato per concerti: memorabili quelli dei Beatles nel giugno 1965, oggi ricordati da un pannello nel corridoio centrale. Dal 2000 è stato trasformato in una multisala con dieci schermi, ma la facciata è ancora quella originale.
3. Piazza Trilussa (Trastevere)
PIAZZA TRILUSSA: NELL’ANNO DEL SIGNORE DI LUIGI MAGNI (1969)
IL LUOGO
Siamo nel cuore di Trastevere, in una delle piazze più famose di Roma, piazza Trilussa. Sul fondo dello slargo troneggia la Fontana dell’Acqua Paola.
Costruita nel 1613 dagli architetti Jan Van Santen (il Vasanzio) e Giovanni Fontana su commissione di papa Paolo V Borghese, il monumento si trovava originariamente dall’altra parte del Tevere, alla fine di via Giulia, proprio a ridosso dell’Ospizio dei Mendicanti edificato qualche anno prima.
Smontata nel 1879, viene ricostruita nel 1898 con molti dei pezzi originali al di là di Ponte Sisto, per l’appunto a Trastevere, nella piazza oggi dedicata al poeta romano Trilussa.
Conosciuta anche come Fontana dei cento preti, deve l’appellativo alla sua posizione originaria, accanto all’ospizio gestito da canonici, chiamato appunto dei cento preti.
LA STORIA
Convinto sostenitore del motto per cui se non sai da dove vieni, non sai neanche dove sei né dove vai, Luigi Magni racconta nei suoi film la Roma del passato, soprattutto quella del potere temporale dei papi, emblema di una dittatura odiosa che affama il popolo e soffoca ogni libertà.
Gli è riuscito soprattutto con questa pellicola realizzata nel 1969, frutto degli stravolgimenti del Sessantotto, che rievoca la vera storia della decapitazione di due carbonari, Targhini e Montanari, nel 1825.
Dalla cura di scenografie e costumi alle musiche di Armando Trovajoli, tutto contribuisce a far sprigionare ai luoghi emblematici della Roma antica le suggestioni del clima ottocentesco, in un costante richiamo ai mali del Novecento (compresa la persecuzione contro gli ebrei). Lo stile Magni è una miscela inconfondibile di dramma storico e commedia all’italiana, tragedia politica e farsa romanesca, cinema di denuncia e di intrattenimento.
Altro punto di forza del film è rappresentato dal cast stellare, che ospita al completo i grandi mattatori dell’epoca: da Alberto Sordi a Ugo Tognazzi, da Claudia Cardinale a Enrico Maria Salerno, fino a un giovane Pippo Franco.
Su tutti il protagonista Nino Manfredi, l’attore più caro a Magni, nel ruolo emblematico di un ciabattino che si finge analfabeta e invece, proprio di fronte alla Fontana dell’Acqua Paola, rivela a Claudia Cardinale di essere Pasquino, l’autore anonimo di scritti sferzanti, affissi accanto alla celebre statua, che denunciano i soprusi del papa. È lui la voce del popolo con cui il cinema di Magni si identifica. E quella confessione in piazza Trilussa sembra suggerire una linea di continuità nella tradizione satirica romanesca che va dalle pasquinate dei tempi del papa re ai componimenti in romanesco proprio del poeta Trilussa.
NELLE VICINANZE
Dietro Piazza Trilussa, il Bar del Cinque in Vicolo del Cinque, è stato set di molti film, a partire da Trastevere (1970) di Fausto Tozzi, dove il conte omosessuale Gigi Ballista conosce un giovane turista americano e lo porta nella sua casa lì vicino in vicolo del Mattonato 28. Nel più recente Immaturi (2011) di Paolo Genovese, con Raoul Bova e Ricky Memphis, i protagonisti rubano la R dall’insegna del bar. E nella notte di Capodanno del 2012 – forse ispirato dallo scherzo del film – qualche “immaturo” ha fatto sparire per davvero l’intera insegna del locale.
4. Piazza Santa Maria in Trastevere (Trastevere)
PIAZZA SANTA MARIA IN TRASTEVERE: RUGANTINO DI PASQUALE FESTA CAMPANILE (1973)
IL LUOGO
Una piazza tra le più belle e importanti di Roma, ricca di storia, arte e suggestioni, nel cuore di Trastevere.
Nel 38 a.C. dal terreno zampilla olio minerale e in quel punto (ancora oggi segnalato su un gradino della chiesa), considerato sacro dai cristiani che vi videro l’annuncio della nascita dell’Unto del Signore, viene eretta la Basilica di Santa Maria in Trastevere, primo luogo di culto cristiano della città. La sua edificazione inizia nel 217 d.C.
Ancora più antica la fontana, risalente all’epoca di Augusto, collocata inizialmente in fondo alla piazza, di fronte alla chiesa.
È Gian Lorenzo Bernini a spostarla al centro del piazzale nel 1658. Allo scultore il compito di innalzarla su dei gradini e di arricchirla con un’epigrafe commemorativa e gli stemmi di papa Alessandro VII.
LA STORIA
Maschera romana nata alla fine del Settecento, Rugantino rappresenta il bullo di quartiere, sbruffone e scioperato, tutto chiacchiere e niente fatti, sempre pronto a vantare conquiste femminili e imprese coraggiose, mentre alla prova dei fatti si rivela pavido e perdente.
Quasi un erede del Miles Gloriosus messo in scena da Plauto, prototipo dello spaccone vigliacco. Reso popolare dalla commedia musicale omonima, scritta da Garinei e Giovannini con le musiche di Armando Trovajoli, è interpretato a teatro nel 1962 da Nino Manfredi e, nelle edizioni successive, da attori romanissimi come Enrico Montesano, Enrico Brignano e Valerio Mastandrea.
Al cinema, il regista Pasquale Festa Campanile sceglie a sorpresa il milanese Adriano Celentano, e lo contorna di un cast ricorrente nei film in costume romani: da Paolo Stoppa (che qui è il boia Mastro Titta) al giovane Pippo Franco. Vincente la decisione di ambientare il film negli scenari senza tempo di Trastevere e del Ghetto ebraico, con una ricostruzione storica accurata e costumi sontuosi. Nel palazzo che affianca la Basilica di Santa Maria in Trastevere abitano i principi Capitelli e dalla piazza Celentano lancia un gatto morto dentro la finestra posta accanto all’ingresso della chiesa, che finisce nella stanza dove i principi stanno pregando sulla salma del parente morto.
La sequenza, insieme al grido rugantinesco “Beccatevi ‘sta gattata!”, è diventata l’emblema dello sberleffo rivolto dai poveri della vitale piazza trasteverina, cuore dell’anima popolare romana, ai nobili incartapecoriti nella veglia funebre. Nel film fa la sua ultima apparizione Sergio Tofano, che muore poco dopo la fine delle riprese.
Nella colonna sonora Celentano canta la sua versione di Roma nun fa la stupida stasera.
NELLE VICINANZE
A pochi metri dalla piazza, in via di San Cosimato 12, una lapide ricorda il luogo della casa natale di Alberto Sordi. In verità Sordi nasce il 15 giugno 1920 al numero 7 di quella via, ma la sua casa viene abbattuta all’inizio degli anni Trenta per costruire il Palazzo delle Sacre congregazioni e la lapide è stata collocata sull’edificio di fronte. Da lì la famiglia Sordi si è trasferita nella vicinissima via Giacomo Venezian.
5. Piazza Farnese (Regola)
PIAZZA FARNESE: IL MALATO IMMAGINARIO DI TONINO CERVI (1979)
IL LUOGO
Ci troviamo in una delle piazze più belle e caratteristiche di Roma.
Agli inizi del Cinquecento, il cardinale Alessandro Farnese acquista le case di quella zona che si estende da Campo de’ Fiori a via Giulia, abitate dal cardinale Ferritz e da altri, e le fa demolire per lasciare spazio a una piazza su cui intende far costruire la sua dimora.
Nascono così Piazza Farnese e il palazzo omonimo, dal 1936 sede dell’Ambasciata di Francia, iniziato nel 1514 da Antonio da Sangallo il Giovane, continuato da Michelangelo Buonarroti e da Jacopo Barozzi (il Vignola) e completato da Giacomo Della Porta alla fine del secolo.
Cuore della vita cittadina, la piazza è il luogo ideale in cui si organizzavano feste popolari, gare, giochi e tornei vari.
LA STORIA
Proprio questa dimensione vivace, affollata di umanità e carica di energia, rende piazza Farnese un posto perfetto per il ritorno alla vita del malato immaginario Argante-Alberto Sordi, la cui abitazione è situata nella piazza, di fronte a Palazzo Farnese.
Chiuso in casa in preda alla sua ipocondria in tutto il corso del film, nel finale liberatorio si apre finalmente alla vita uscendo nella piazza insieme a Laura Antonelli, che interpreta la sua domestica Tonina.
Tratto dall’opera omonima di Molière, scritta nel 1673, il film trasferisce l’ambientazione nella Roma papalina segnata dalla povertà e dall’ingiustizia. Così quella che fu l’ultima commedia scritta da Molière, che morì mentre la interpretava, serba intatta tutta la sua amarezza disincantata, mescolando realismo e farsa nella denuncia di una società cinica e ipocrita.
A funzionare, nel Malato immaginario di Cervi, è proprio il trapianto romanesco di un’opera così parigina, a indicare una dimensione esistenziale umana che, come capita spesso con Molière, trascende l’origine locale per farsi universale. Campione di incassi nel 1979, il film ottiene un grande successo popolare grazie soprattutto alla straordinaria interpretazione di Alberto Sordi, elogiato anche dalla critica, che scrive che se Molière avesse avuto ai suoi tempi un attore come Sordi, non avrebbe dovuto morire sulla scena per interpretare lui Argante.
Alberto Sordi e la Antonelli sono affiancati da un cast in stato di grazia in cui figurano Giuliana De Sio, Bernard Blier, Stefano Satta Flores, Vittorio Caprioli, Eros Pagni e un giovane Christian de Sica in uno dei suoi primi ruoli importanti.
Il regista romano Tonino Cervi, figlio di Gino e padre di Valentina, ripeterà dieci anni dopo, nel 1989, la medesima operazione con L’avaro, sempre con Alberto Sordi protagonista.
NELLE VICINANZE
A pochi metri da piazza Farnese, in via Giulia, si trova la casa di Pasquale Festa Campanile, scrittore, sceneggiatore e regista che ha attraversato la storia del cinema italiano. La sua casa lo testimonia: stipata di libri (oltre trentamila) in tutte le pareti (comprese quelle del bagno), conteneva tutte le sceneggiature originali che Campanile aveva scritto, da Il gattopardo a Rocco e i suoi fratelli, ma anche quelle mai realizzate o altre che gli venivano inviate da professionisti o dilettanti.
6. Via di Sant’Angelo in Pescheria (Sant’Angelo)
VIA DI SANT’ANGELO IN PESCHERIA: IL MARCHESE DEL GRILLO DI MARIO MONICELLI (1981)
IL LUOGO
Tra i molti vicoli che restituiscono l’atmosfera della Roma del passato, via di Sant’Angelo in Pescheria è uno dei più suggestivi.
Situata nella zona del Ghetto ebraico, a due passi da piazza Campitelli, nel Medioevo è la sede del Foro Piscario, il mercato del pesce che occupa parte del Portico d’Ottavia, il complesso monumentale di epoca augustea i cui resti sono ancora oggi visibili.
Ci troviamo in una zona con numerosi edifici medievali, costruiti a loro volta sulla base di resti della Roma più antica. Proprio per questo è stata spesso utilizzata come set di film in costume come Nell’anno del Signore di Luigi Magni, ambientato nel 1825, che colloca il covo dei carbonari nella parallela di via di Sant’Angelo in Pescheria, via della Tribuna di Campitelli.
LA STORIA
Il Marchese del Grillo non è un’invenzione di Mario Monicelli e Alberto Sordi o una maschera romana come Rugantino e Meo Patacca, ma un personaggio realmente esistito, raccontato per la prima volta in un libro di Raffaello Giovagnoli del 1887: Onofrio del Grillo, marchese di Santa Cristina, nato a Fabriano nel 1714 e morto a Roma nel 1787.
Fu un nobile dignitario pontificio della Roma papalina, rimasto famoso per gli scherzi che architettava. Abitava nel quartiere Monti, sopra i Mercati Traianei, in quella che oggi si chiama appunto Salita del Grillo.
Se il rione Sant’Angelo è sembrata un’ambientazione più adatta alle beffe del marchese, come quella del vespasiano murato all’ingresso della bottega di un poveretto, girata proprio in via di Sant’Angelo in Pescheria, è perché conserva intatta l’atmosfera della Roma medievale con le manipolazioni operate dalle ricche famiglie che lo abitarono dal XV al XVII secolo.
Ad esempio, il portico del Tempio di Giunone regina, risalente al 179 a.C. e restaurato in età augustea, nel film è diventato quello di una casa che conserva le colonne originali, con i portali aggiunti nei secoli successivi. O la Torre Stroncaria, con la finestra murata che ricorda i fasti nobiliari del quartiere.
Scritto da sei sceneggiatori (oltre a Monicelli e Sordi, anche Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Bernardino Zapponi e Tullio Pinelli), Il Marchese del Grillo è uno dei più grandi successi di Sordi, qui nel doppio ruolo del marchese e del carbonaio Gasparino. Tra le battute memorabili, la più nota è certamente quella del Sordi-marchese: “Io sono io e voi non siete un cazzo”, tratta dal sonetto di Giuseppe Gioachino Belli Li soprani der monno vecchio. Mentre la frase “Sor Marchese, è l’ora”, che il frate pronuncia sul patibolo a Gasperino il carbonaio per condurlo all’esecuzione, è incisa sulla tomba di Alberto Sordi al Cimitero del Verano.
NELLE VICINANZE
In questa zona del ghetto ebraico, tra via di Sant’Angelo in Pescheria, via del Portico d’Ottavia, via del Foro Piscario e via della Tribuna di Campitelli, è ambientata la maggior parte dei film che raccontano i rastrellamenti nazisti degli ebrei. Citiamo soltanto L’oro di Roma (1961) di Carlo Lizzani, cruda cronaca di quella tragedia, e Gente di Roma (2003) di Ettore Scola, nel quale un’anziana ebrea, uscendo dal portone di casa, immagina di riviverla oggi.
7. Piazza Capizucchi, 13 (Campitelli)
PALAZZO CAPIZUCCHI: IL CONTE TACCHIA DI SERGIO CORBUCCI (1982)
IL LUOGO
Situato nell’omonima piazza nel cuore del rione Campitelli, Palazzo Capizucchi – oggi Palazzo Gasparri – viene costruito nel 1585 da Giacomo Della Porta su progetto del Vignola e per commissione di Marcello Capizucchi. È la dimora di una delle famiglie all’epoca più importanti di Roma, tanto da contare tra i suoi membri ben tre cardinali.
Nel basso Medioevo su piazza Capizucchi sono presenti esclusivamente residenze nobiliari, come conferma la fontana dell’Acqua Felice, sulla quale sono scolpiti gli stemmi delle famiglie aristocratiche che la finanziarono (oltre ai Capizucchi, anche Albertoni, Ricci e Muti).
Fino al 1871 la piazza, caratteristica per la sua forma rettangolare allungata, si chiama piazza di Santa Maria in Campitelli, dal nome della chiesa risalente al 1217 (e poi ricostruita da Carlo Rainaldi nel 1667), famosa per ospitare un’antichissima icona mariana di origine bizantina, venerata per aver protetto il popolo romano nei periodi di pestilenza.
LA STORIA
In dialetto romanesco, la “tacchia” è la zeppa, un pezzo di legno che serve a stabilizzare un tavolo che traballa. E il conte Tacchia è appunto il soprannome del conte Adriano Bennicelli, figlio di un commerciante di legname, nato nel 1860 e morto nel 1925.
Residente nel Palazzo Bennicelli di piazza dell’Orologio, sembra quasi un discendente del Marchese del Grillo per i numerosi aneddoti sulla sua personalità vivace, da dandy bizzarro e burlone, maestro di battute e di pernacchie, ma anche affabile e generoso. Condannato a una multa di 50 lire per aver schiaffeggiato un vetturino, ne paga 100 per assestargliene un altro. Candidatosi successivamente per il Partito liberale fa campagna elettorale in un’osteria ed essendo stato votato da pochissimi commentò: “Ho pagato tanti litri e mi hanno restituito un solo fiasco”.
Logico che, dopo il successo del film di Monicelli e Sordi, l’anno successivo Sergio Corbucci scegliesse un altro romano doc come Enrico Montesano per cucirgli addosso quest’altro personaggio mitizzato dalla tradizione. Logico anche che andasse a girare nella piazza che conserva più di altre l’atmosfera del passato visto che, pur essendo in pieno centro storico, risulta piuttosto appartata e risparmiata dal flusso dei turisti, favorendo così la sensazione di un viaggio nel tempo.
Al numero 13 di Piazza Capizucchi c’è la bottega di falegname interpretato da Paolo Panelli, padre del conte Tacchia, mentre Palazzo Capizucchi è l’abitazione del principe Torquato Terenzi, alias Vittorio Gassman. A completare un cast tutto romano ci sono anche Ninetto Davoli e, nei panni del sor Capanna, Alvaro Amici, uno dei maggiori rappresentanti della canzone romana, famoso stornellatore dell’età umbertina e maestro di Ettore Petrolini.
NELLE VICINANZE
Il cinema ha mandato ad abitare in questa zona molti personaggi divenuti veri e propri simboli della romanità. Nella vicina piazza Margana c’è la casa di un altro famoso carattere interpretato da Enrico Montesano, er Pomata in Febbre da cavallo (1976) di Steno, mentre a metà tra piazza Capizucchi e piazza Margana abita La famiglia Passaguai, protagonista di una serie di fortunati film diretti e interpretati da Aldo Fabrizi negli anni Cinquanta.
8. Via Baccina, 90 (Monti)
VIA BACCINA: FILM D’AMORE E D’ANARCHIA DI LINA WERTMÜLLER (1973)
IL LUOGO
Ci troviamo lungo la strada che collega piazza della Madonna dei Monti al Foro di Augusto, così chiamata dal nome dalla famiglia fiorentina Baccini che, alla fine del Cinquecento, edifica qui il suo palazzo.
All’incrocio con via Tor de’ Conti, incorniciato in un’edicola, c’è l’affresco di una Madonna con bambino. Si tratta di un’icona venerata per un miracolo avvenuto alla fine del XVIII secolo: dei gigli secchi, appassiti per il torrido caldo estivo, rimasti poi freschi per molte settimane.
LA STORIA
Lina Wertmüller ha sempre amato i titoli chilometrici: quello integrale infatti è Film d’amore e d’anarchia ovvero stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza. Girato nel 1973, dopo Mimì metallurgico ferito nell’onore e prima di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, è un altro successo che vede la collaborazione tra la regista e la coppia formata da Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, che per questa interpretazione viene premiato a Cannes. Contadino lombardo venuto a Roma per uccidere Mussolini, lui. Prostituta anarchica che vuole aiutarlo, lei.
Ambientato nel 1932, il film viene elogiato soprattutto per la riesumazione figurativa con la quale riesce a catturare l’aria del tempo. Le scenografie e i costumi di Enrico Job, la fotografia di Giuseppe Rotunno e le musiche di Nino Rota rievocano il clima del regime fascista cogliendone gli aspetti grotteschi.
In netto anticipo sulla stagione del terrorismo e sul dibattito conseguente tra la condanna degli assassini politici e il rispetto per l’idealismo che li ispirerebbe, il film si chiude su una citazione dello scrittore anarchico Errico Malatesta: “Voglio ripetere il mio orrore per attentati che, oltre che essere cattivi in sé, sono stupidi perché nuocciono alla causa che dovrebbero servire. Ma quegli assassini sono anche dei santi e degli eroi e saranno celebrati il giorno in cui si dimenticherà il fatto brutale per ricordare solo l’idea che li illuminò e il martirio che li rese sacri”.
La via dei Fiori del film è, nella realtà, via Baccina. E il numero civico della casa di tolleranza in cui è girata gran parte del film è il 90, all’epoca sede della rivista pannelliana La prova radicale.
NELLE VICINANZE
Al numero 32 di via Baccina una lapide ricorda l’abitazione di Ettore Petrolini, attore e commediografo dalla vena surreale. Celebre per aver portato in scena l’anima di Roma, soprattutto grazie a macchiette come Nerone, Giggi er bullo e Gastone, è anche autore e cantante di canzoni romane ancora popolari come Tanto pe’ canta’.
Nato nel 1884, muore nel 1936 pronunciando queste parole: “Che vergogna morire a cinquant’anni!”.
9. Piazza Santi Giovanni e Paolo (Celio)
BASILICA DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO: MEO PATACCA DI MARCELLO CIORCIOLINI (1972)
IL LUOGO
Ci troviamo sul pendio occidentale del colle Celio, nella piazza che deve il suo nome a due ufficiali romani, i fratelli Giovanni e Paolo, uccisi nel 362 e seppelliti nella loro abitazione dall’imperatore Giuliano l’Apostata perché convertitisi al cristianesimo.
Una leggenda divenuta Storia grazie agli scavi archeologici che hanno portato alla luce una grande Domus romana, risalente proprio a quel periodo, nel terreno sottostante la basilica a loro dedicata. Costruita pochi anni dopo – l’edificazione inizia nel 398 – danneggiata nel tempo da invasioni barbariche e da terremoti, più volte restaurata, è una delle più belle e imponenti chiese di Roma.
Il luogo è venerato come sacro già nel 398, quando il senatore Bisante e suo figlio Pammachio vi edificano un Titulus, una stanza con una finestrella che permette di affacciarsi sulle reliquie dei santi.
LA STORIA
Nata dalla penna del poeta Giuseppe Berneri e disegnata dal pittore Bartolomeo Pinelli, Meo Patacca è una maschera romana che rappresenta il bullo trasteverino sbruffone e insolente, evidente già dal nome. Meo è un sinonimo di tonto e patacca indica ancora oggi un oggetto falso, una fregatura. Protagonista del poema eroicomico Meo Patacca overo Roma in feste ne i trionfi di Vienna (1695), diventa popolare nell’Ottocento quando gli attori Filippo Tacconi e Annibale Sansoni lo portano in scena nei teatri.
La commedia Il duello di Meo Patacca e di Marco Pepe delinea già bene i caratteri dei due personaggi interpretati in questo film rispettivamente da Luigi Proietti ed Enzo Cerusico: il primo spaccone e sicuro di sé, l’altro invece fanfarone, polemico ma pavidissimo, assai simile per molti versi a Rugantino.
È proprio Enzo Cerusico-Marco Pepe che, condannato alla gogna dal cardinale Mario Scaccia, viene esposto al supplizio nella piazza Santi Giovanni e Paolo, di fronte alle colonne della basilica.
La ricostruzione ambientale e gli scorci della vecchia Roma (Meo Patacca riunisce i suoi di fronte alla Basilica di Massenzio) ricordano i film di Luigi Magni, ma il protagonista Luigi Proietti si ispira chiaramente al Brancaleone interpretato da Vittorio Gassman, grande successo dell’epoca.
Marcello Ciorciolini, regista delle farse con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, sembra voler ripetere i meccanismi della coppia comica cercando di far funzionare quella inedita formata da Proietti e Cerusico, quest’ultimo autore insieme a lui della sceneggiatura.
Azzeccata l’idea della canzone tormentone, che si chiama come il film, perfettamente in linea con le origini teatrali del personaggio, nato con le commedie musicali.
NELLE VICINANZE
In via Tor de’ Conti 35, dietro alla Basilica di Massenzio, c’è la casa in cui ha abitato Luciano De Crescenzo (1928-2019), regista, sceneggiatore e attore ma soprattutto scrittore noto per aver divulgato la filosofia e i miti greci.
La curiosità è che nel medesimo appartamento ha vissuto prima di lui Robert Graves (1895-1985), scrittore inglese diventato celebre grazie a libri come La dea bianca, Miti greci, Il vello d’oro e altri riadattamenti di storia e mitologia greco-latina.
10. Quadrato della Concordia, 3 (Eur)
PALAZZO DELLA CIVILTÀ ITALIANA: MESSALINA VENERE IMPERATRICE DI VITTORIO COTTAFAVI (1960)
IL LUOGO
Ci troviamo nel quadrante sud di Roma, nel cuore del quartiere Eur, tra i cui edifici svetta il Palazzo della Civiltà Italiana.
Progettato nel 1937 per l’Esposizione Universale di Roma del 1942, l’edificio avrebbe dovuto ospitare la Mostra della civiltà Italiana, alla quale si riferisce la scritta che campeggia sulla sua facciata: “Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di trasmigratori”. A causa dell’interruzione dei lavori per la Seconda guerra mondiale, però, viene completato nel dopoguerra.
Noto ai romani come il Colosseo quadrato, negli anni è diventato il simbolo dell’Eur. Le scalinate, le sculture dei Dioscuri e le 28 statue di marmo nelle arcate che rappresentano le arti e i mestieri del genio italico, ben identificano un luogo che ha ispirato registi di ogni genere.
Oggi è la sede della maison Fendi, storico marchio italiano della moda.
LA STORIA
Sui gradini del Palazzo della Civiltà Italiana Belinda Lee – Messalina e Arturo Dominici – e Caio Silio festeggiano, ignari della tragedia imminente: l’esercito dell’imperatore Claudio li sta per assalire.
La location dell’Eur aggiunge un altro ingrediente straniante a quel cocktail speziato di generi che è il Peplum anni Sessanta, come è evidente già dal titolo del film, a metà tra il filone storico, il romanzo avventuroso, e il dramma sexy con dettagli morbosi e picchi di violenza. Anche in questo caso la vicenda di Claudio e Messalina risulta solo liberamente ispirata a quanto raccontano i libri di storia romana, quello che conta è rendere la ricetta più saporita possibile per attrarre ogni tipo di pubblico. Con tanto di tagli da parte della censura di due scene di nudo di Belinda Lee e il divieto ai minori di 16 anni.
Vittorio Cottafavi, abile autore di personaggi della storia romana, vestali e gladiatori, dirige questa pellicola su sceneggiatura di Duccio Tessari ed Ennio De Concini, che diventeranno a loro volta registi ereditando dal maestro la passione per il genere avventuroso.
Il cast, capitanato dalla vamp Belinda Lee e dal greco Spiros Focas, ospita molti attori che erano ben noti al pubblico. Come Paola Pitagora nel ruolo di una schiava torturata e un giovane Giuliano Gemma, che in un’intervista restituisce efficacemente il clima di quei melodrammi storici, assai rozzi e approssimativi ma così potenti commercialmente da conquistare i mercati di tutto il mondo. Le parole dell’attore, nel ricordare con emozione il suo piccolo ruolo: “La prima scena era con Belinda Lee. Dovevo tentare di pugnalarla ma invece lei esclamava ‘Perché odiarsi quando ci si può amare?’ e mi baciava. Dunque, per me era stata un’emozione grandissima, perché Belinda era una bellissima donna”.
NELLE VICINANZE
In via Eufrate, al civico 9, si trova la casa in cui visse Pier Paolo Pasolini. Un appartamento borghese in un quartiere dall’architettura razionalista che sembra lontano anni luce dalle atmosfere evocate dal poeta delle borgate e dal regista del sottoproletariato. Qui abitò, insieme alla madre Susanna Colussi e alla cugina Graziella Chiarcossi, dal 1963 fino alla sua morte, quando fu brutalmente ucciso, nella notte tra il primo e il 2 novembre del 1975, all’Idroscalo di Ostia.
(Testi a cura di Fabio Canessa, podcast a cura di Alessandra Accardo)
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