Iniziamo il nostro itinerario da via Donatello, percorsa da Tony Musante prima di assistere al tentativo di omicidio nella sequenza più celebre dell’argentiano L’uccello dalle piume di cristallo. Da lì passiamo al luogo di un altro delitto, stavolta riuscito: via Mario Amato, dove viene ucciso il giudice Perro, uno dei Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi. Poi attraversiamo via della Camilluccia, nella quale abita Carroll Baker, vittima di un perverso piano nel torbido Orgasmo di Umberto Lenzi, per fermarci a esplorare la zona di piazza di Spagna, prediletta dai set di alcuni thriller di culto. Proprio sulla scalinata di Trinità dei Monti Mario Bava gira le sequenze chiave de La ragazza che sapeva troppo mentre a pochi passi, in piazza Mignanelli, abita Marcello Mastroianni, accusato di essere L’assassino nel noir esistenziale di Elio Petri.
Ci spostiamo in piazza Farnese che, nel film di Pietro Germi Un maledetto imbroglio tratto dal Pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, prende il posto di via Merulana come sede del condominio in cui avviene l’omicidio. Nelle immediate vicinanze, a palazzo Spada di piazza Capo di Ferro, Mastroianni, stavolta detective, indaga su un Doppio delitto. Attraversiamo il Tevere per dirigerci verso Villa Sciarra: il suo bel parco è teatro dell’incipit di Sei donne per l’assassino di Mario Bava. Penultima tappa in via di Sant’Alessio, dove abita Bianca, Laura Morante nel film omonimo di Nanni Moretti. Per chiudere come abbiamo iniziato, con Dario Argento, che mette a pescare Bud Spencer sotto Ponte Marconi in 4 mosche di velluto grigio.
1.Via Donatello (Flaminio)
VIA DONATELLO: L’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO DI DARIO ARGENTO (1970)
IL LUOGO
Situato tra Ponte Milvio e piazza del Popolo, il quartiere Flaminio nasce nel 1921 e deve il suo nome alla via consolare che lo attraversa, la via Flaminia. Situato in un’area per lo più disabitata fino al XIX secolo a causa dei frequenti straripamenti del Tevere, oggi è una delle zone residenziali più apprezzate e richieste della città.
Il MAXXI, Museo di arte contemporanea in via Guido Reni, e il vicino Auditorium Parco della Musica lo hanno reso negli ultimi vent’anni un polo di grande importanza culturale e di forte attrattiva.
LA STORIA
Tra le innovazioni che il passaggio di Dario Argento alla regia (dopo anni di militanza come critico cinematografico e sceneggiatore) apporta al linguaggio del thriller, non è da trascurare la scelta inedita delle location.
Il mistero nei suoi film viene trapiantato in luoghi di per sé ordinari, il senso di minaccia si sprigiona improvvisamente da vie e piazze di ordinaria quotidianità.
Così è proprio il tranquillo quartiere Flaminio a tenere a battesimo, nel 1970, colui che diventerà da qui a breve il maestro indiscusso dell’horror nostrano.
Se l’Inferno di Dante comincia con la “diritta via” smarrita nella selva oscura, quello di Dario ha inizio da via Donatello. Il protagonista de L’uccello dalle piume di cristallo Tony Musante-Sam Dalmas passa davanti a un muro forato situato in questa strada e, girato l’angolo in via del Vignola, assiste al tentativo di omicidio che sarà al centro del plot giallo. Umberto Raho-Alberto Ranieri, direttore della galleria d’arte in cui avviene l’aggressione, abita proprio in via Donatello 23, dove finirà scaraventato fuori dalla finestra.
In altre sequenze del film vediamo Musante camminare sul Lungotevere Flaminio, in via Pietro da Cortona e, nel finale, in via del Ghirlandaio. E pensare che Totò aveva affermato in un’intervista che quelle erano le strade nelle quali preferiva passeggiare “perché qui trovo una grande pace”.
Per il suo debutto alla regia, Argento può vantare due collaboratori come Vittorio Storaro alla fotografia ed Ennio Morricone alla colonna sonora. Il titolo, che si riferisce a una gru il cui verso fa da sfondo alle telefonate dell’assassino, darà origine a una lunga serie di thriller (di Argento e non solo) con nomi di strani animali: Il gatto a nove code, Una lucertola con la pelle di donna, Una farfalla con le ali insanguinate e La tarantola dal ventre nero.
NELLE VICINANZE
Proprio sotto la targa di via Donatello, quasi all’angolo con via Flaminia, troviamo un omaggio della Street art al cinema della Marvel: uno Spider-Man a colori firmato Solo, pseudonimo di Flavio Carbonaro, artista romano legato alla Pop art e ad Andy Warhol.
2. Via Mario Amato, 13 (Prati)
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA: CADAVERI ECCELLENTI DI FRANCESCO ROSI (1976)
IL LUOGO
Prati, l’ultimo nato in ordine di tempo tra i quartieri romani, si affaccia sulla sponda destra del Tevere.
La sua storia ha inizio nell’agosto del 1921, quando viene ufficialmente costituito, per accogliere i palazzi dell’amministrazione del Regno d’Italia e le abitazioni dei suoi funzionari.
Di impronta laica, le sue vie e le sue piazze sono tutte intitolate a personaggi della classicità latina e agli eroi del Risorgimento, con un’urbanistica che evita accuratamente di far intravedere dalle strade la vicina cupola di San Pietro.
Via Mario Amato, tra circonvallazione Clodia e viale Antonio Varisco, è dedicata al magistrato assassinato dai terroristi neri nel 1980.
LA STORIA
In via Mario Amato 13 si trova il Tribunale ordinario di Roma, sede della Procura e del Casellario Giudiziale. Nel film di Francesco Rosi invece viene fatto passare per il Palazzo di giustizia (situato sempre nel Quartiere Prati ma in piazza Cavour).
Dal cancello del tribunale esce il procuratore Perro, e subito, dopo viene ucciso sulla via Amato.
Il film, tratto dal romanzo Il contesto di Leonardo Sciascia e sceneggiato dallo stesso Rosi, dal poeta Tonino Guerra e dal giornalista Lino Jannuzzi, affronta in chiave di thriller la complicata situazione civile e politica italiana di quel periodo, tra gli attentati terroristici e le trame dei servizi segreti deviati, denunciando la corruzione del potere e la connivenza dell’opposizione in una visione di nero pessimismo.
È singolare che in questo film del 1976, per molti versi profetico, l’omicidio del giudice Perro sia ambientato proprio nella via che, anni dopo, sarà dedicata a Mario Amato, procuratore della Repubblica ucciso il 23 giugno 1980 dai Nuclei armati rivoluzionari di estrema destra, perché stava indagando sulle trame dell’eversione neofascista. L’esecuzione avvenne con un colpo di pistola alla nuca alla fermata dell’autobus in viale Jonio (mentre era diretto al suo ufficio della Procura di piazzale Clodio) da un terrorista che fuggì in motocicletta, ricalcando quasi perfettamente la sequenza del film.
Cadaveri eccellenti è uno dei frutti più maturi del grande cinema civile degli anni Settanta: nel cast internazionale formato da Lino Ventura, Max Von Sydow, Fernando Rey, Alain Cuny e Renato Salvatori compaiono anche il poeta Alfonso Gatto e il regista Florestano Vancini. Alle scenografie collaborarono Renato Guttuso e Mario Schifano.
NELLE VICINANZE
In via dei Gracchi, al civico 260, si trova Profondo Rosso store, la “piccola bottega degli orrori” fondata da Dario Argento nel 1989 che vende libri, cd, DVD, poster, maschere e ogni prodotto abbia a che fare con l’horror e il mistero. Nei sotterranei, il “Museo degli orrori” espone molti materiali originali usati da Argento nei suoi film.
3.Via della Camilluccia
VIA DELLA CAMILLUCCIA: ORGASMO DI UMBERTO LENZI (1969)
IL LUOGO
Via della Camilluccia prende il nome dal principe Camillo Filippo Ludovico Borghese (1775-1832), marito di Paolina Bonaparte e cognato di Napoleone. Oltre a Villa Borghese e alla Galleria Borghese, il principe possedeva una dimora fuori le mura, a nord-est di Roma, e per raggiungerla attraversava quella che all’epoca era una strada di campagna.
Oggi, quella stessa strada, è una via residenziale verde ed elegante, sede di ambasciate, ville e locali alla moda.
LA STORIA
L’intero film è ambientato nella grande villa in via della Camilluccia che la protagonista Catherine West, una ricca vedova americana interpretata dalla bellissima Carroll Baker, ha ereditato dal marito.
La tranquillità e il benessere garantiti da una casa e un quartiere così confortevoli si trasformano, però, ben presto in un crescendo di disagio e tensione, quando il giovane Peter-Lou Castel per un guasto all’auto chiede aiuto alla vedova, ha con lei una relazione e inizia a frequentare la villa, portando con sé anche la presunta sorella Eva-Colette Descombes. Si tratta invece di una coppia di criminali che intendono impadronirsi della villa, sbarazzandosi della proprietaria.
Nel contesto opulento di una location altoborghese, questo giallo che Umberto Lenzi considerava la sua opera migliore (ma la critica non è d’accordo), fa esplodere intrighi morbosi che si rivelano essere in linea con la protesta antiborghese sessantottina tipica del cinema d’autore dell’epoca. Il film è del 1969 e Lou Castel era già stato il protagonista de I pugni in tasca di Marco Bellocchio.
Inizialmente il titolo doveva essere Paranoia, poi la paura di promettere sbadigli agli spettatori lo fece mutare in Una pazza voglia di amare, che evocava però languori sentimentali lontani dalle atmosfere del film, che fu ribattezzato prima I perversi e infine Orgasmo.
Il grande successo ottenuto all’estero da questa pellicola, spinge Lenzi a continuare nel filone del giallo erotico di ambientazione altolocata mantenendo come protagonista Carroll Baker con Così dolce… così perversa, Paranoia e Il coltello di ghiaccio.
NELLE VICINANZE
Un appartamento che si trova in via della Camilluccia 364 è stato il set di Profondo rosso (1975) di Dario Argento: vi abitano il guardiano della villa Furio Meniconi e la sua inquietante figlia Nicoletta Elmi. Nel vicino Liceo Mamiani, in viale delle Milizie 30, si introducono nottetempo David Hemmings e Daria Nicolodi, che viene pugnalata.
4. Piazza di Spagna (Colonna)
SCALINATA DI TRINITÀ DEI MONTI: LA RAGAZZA CHE SAPEVA TROPPO DI MARIO BAVA (1963)
IL LUOGO
Ci troviamo in una delle piazze più belle e famose di Roma, Piazza di Spagna. Da qui sale la scalinata di 136 gradini progettata dall’architetto romano Francesco De Sanctis. Fu inaugurata nel 1726 da papa Benedetto XIII e collega la Fontana della Barcaccia (costruita da Pietro e Gian Lorenzo Bernini nel 1627) con la Chiesa della Trinità dei Monti.
Sottoposta nel tempo a numerosi interventi di manutenzione, la scalinata è stata oggetto di un importante restauro completato nel 1995.
LA STORIA
Sulla scalinata di Trinità dei Monti abita la vecchia zia della giovane americana Nora, interpretata da Leticia Roman, che sogna spensierate vacanze romane alla Audrey Hepburn ma, purtroppo per lei, si trova in un thriller di Mario Bava.
Infatti, la zia muore la notte stessa in cui arriva la nipote che, uscita per cercare aiuto, viene aggredita e derubata sui celebri gradini ed è testimone di un omicidio. Incontra poi la strana vicina di casa della parente defunta, Laura Craven-Valentina Cortese, che abita sul lato destro della scalinata, proprio sopra la casa dove visse (e morì) John Keats.
Considerato il primo giallo adulto del nostro cinema, destinato a fare scuola ai vari Argento, Fulci e Lenzi, il film ha il merito di utilizzare un luogo così universalmente noto nell’immaginario collettivo per svuotarlo della superficie pittoresca, strapparlo alla banale dimensione turistica e farne un suggestivo palcoscenico di terrore astratto.
Giocando sulla solitaria atmosfera notturna, spezzata tra luci e ombre del bianco e nero (Bava qui è anche direttore della fotografia), il regista si conquista l’appellativo di maestro del brivido privilegiando la visionarietà delle emozioni rispetto al meccanismo narrativo del plot.
Spesso accusato dalla critica di mettere in piedi sceneggiature trascurate o improbabili a vantaggio della cura mostrata per l’impianto scenografico e visivo, in realtà il suo cinema risulta ricco di trovate geniali e spesso si è rivelato in largo anticipo sui tempi.
La ragazza che sapeva troppo ne è il perfetto esempio: tanto malfermo nella scrittura (sebbene vi abbiano lavorato grandi professionisti come Corbucci e De Concini) quanto affascinante e ancora fresco nell’aspetto visivo.
Chi voglia approfondire, legga Kill baby kill! di Gabriele Acerbo e Roberto Pisoni.
NELLE VICINANZE
“Qui vissero… Roma Giulietta Masina e Federico Fellini” è la scritta della targa in via Margutta 110, dove i due abitarono dal 1968 fino alla loro morte, in un appartamento di 250mq al piano nobile, con tre finestre e due balconi affacciati sulla via degli artisti e dei pittori, come dice la canzone di Luca Barbarossa.
5. Rampa Mignanelli, 12 (Colonna)
RAMPA MIGNANELLI: L’ASSASSINO DI ELIO PETRI (1961)
IL LUOGO
Adiacente a piazza di Spagna, piazza Mignanelli prende il nome dal palazzo omonimo costruito alla fine del Cinquecento sopra gli Horti Luculliani, i giardini che nel I secolo a.C. sorgevano sulle pendici del Pincio.
Inizialmente di proprietà della famiglia senese dei Mignanelli, dal 1834 al 1865 ha ospitato la sede della Banca Romana. Oggi l’edificio è la sede della maison Valentino.
Citata nei sonetti del Belli, la piazza ha al centro la Colonna dell’Immacolata Concezione, di origine romana, con la statua della Madonna realizzata da Giuseppe Obici nel 1857, che viene visitata dal papa l’8 dicembre di ogni anno.
Dalla piazza ha inizio la rampa Mignanelli, che conduce a Trinità dei Monti.
LA STORIA
Il protagonista, l’antiquario Alfredo Martelli interpretato da Marcello Mastroianni, abita al civico 12 di rampa Mignanelli. Qui si apre il film con il suo ritorno a casa e la successiva irruzione della polizia che lo viene ad arrestare.
È la location adatta per la residenza di un personaggio ambizioso, che vuole apparire vincente negli affari e con le donne, senza farsi troppi scrupoli nel suo essere egoista e amorale.
L’esordio alla regia di Elio Petri, girato nel 1961, è un film non molto noto ma assolutamente da recuperare per la qualità tecnica della confezione, già matura nonostante sia un’opera prima, e per la felice mescolanza di stili e generi che lo ha preservato dall’invecchiamento.
La struttura da giallo classico (chi ha ucciso la signora De Matteis?), la dimensione quasi kafkiana del punto di vista (il protagonista viene arrestato illegalmente senza sapere neanche di cosa lo si accusa), l’atmosfera da noir con squarci neorealisti (l’incontro con la madre) e alcuni caratteristi della commedia all’italiana tra i comprimari (Paolo Panelli, Toni Ucci, Mac Ronay) ne fanno un thriller esistenziale. L’assassino è una storia ricca di umori e capace di indirizzare la denuncia sia nei confronti del potere della polizia sia nei confronti dell’uomo medio, la cui coscienza non è mai pulita.
Scritto, oltre che dallo stesso Petri, anche da Tonino Guerra, con Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa che hanno collaborato alla stesura della sceneggiatura, fotografato da Carlo Di Palma e musicato da Piero Piccioni, il film contiene già i futuri sviluppi del cinema dell’autore, da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto al terminale Buone notizie, come dimostra anche il pessimismo venato di grottesco del finale, legalmente lieto, umanamente amarissimo.
NELLE VICINANZE
La Trattoria Otello alla Concordia, in via della Croce 81, è stata la più frequentata dal mondo del cinema romano, quasi un ufficio dove gli sceneggiatori ideavano copioni e gli attori incontravano i registi. La frequentarono assiduamente Age e Scarpelli, Alessandro Benvenuti e Piero De Bernardi, Fellini e Pasolini, Scola e Monicelli, Germi e Rossellini, Visconti e Antonioni, Risi e Zeffirelli, Sordi e Gassman, Mastroianni e De Sica, Monica Vitti e Silvana Mangano. La cena (1998) di Ettore Scola è ispirato proprio a questo locale.
6. Piazza Farnese, 44 (Regola)
PIAZZA FARNESE: UN MALEDETTO IMBROGLIO DI PIETRO GERMI (1959)
IL LUOGO
Il nome della piazza deriva dal palazzo omonimo, uno dei più rappresentativi del Cinquecento romano. Costruito per il cardinale Alessandro Farnese dai più grandi artisti dell’epoca, quali Antonio da Sangallo il Giovane, Michelangelo Buonarroti, il Vignola e Giacomo Della Porta, fu terminato nel 1580.
Otto vie strette confluiscono nella piazza, dando l’impressione al visitatore di entrare uno spazio larghissimo, dovuto alla maestosità e all’eleganza degli edifici, in contrasto con la vivacità popolare della vicina Campo de’ Fiori.
LA STORIA
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, nella versione cinematografica del 1959, si trasferisce in piazza Farnese.
Il delitto reale che ispirò il capolavoro di Carlo Emilio Gadda avvenne in piazza Vittorio 70, lo scrittore nel suo romanzo lo spostò in via Merulana 219, e la lapide del Comune di Roma è affissa invece al civico 268.
Pietro Germi, regista e protagonista del film, ambienta la sua storia in piazza Farnese 44, nel grande condominio di fronte a una delle due fontane, inquadrata fin dai titoli di testa sulle note di Sinnò me moro, scritta da Germi e dall’autore della colonna sonora del film Carlo Rustichelli.
Scelta felice, perché la melodia in romanesco e la forza espressiva della location immergono subito lo spettatore in un’atmosfera di schietta romanità, all’interno di un quartiere che vede la compresenza del ceto popolare e di quello altoborghese. Come dimostra il parapiglia che si scatena sulle scale del palazzo all’inizio del film per il furto subito da un collezionista d’arte.
Il pastiche linguistico gaddiano sembra così riflettersi nel caos dialettale dei vari personaggi che ricorre in molte sequenze. Ed è altrettanto evidente che la simpatia del regista vada ai proletari magari colpevoli, anziché ai perbenisti borghesi, ipocriti e immorali anche se innocenti.
Avviene così che libro e film siano meno estranei tra loro di quanto sia il regista che lo scrittore pensavano.
Nel ruolo del commissario Ingravallo, Germi trasforma il detective di Gadda in uno dei suoi personaggi bruschi e schietti, come già accaduto ne Il ferroviere (1956), portatori di valori semplici ma autentici. Nella vicina Campo de’ Fiori è girata la sequenza dell’arresto di Diomede Lanciani-Nino Castelnuovo.
NELLE VICINANZE
Il cinema Farnese, in Campo de’ Fiori 56, è una delle storiche sale di Roma, miracolosamente sopravvissuta nel tempo.
Teatro di avanspettacolo negli anni Venti (si esibiscono lì Wanda Osiris, Aldo Fabrizi, Renato Rascel e Macario), nel 1939 diventa il Cinema Romano e, solo nel 1950, acquisisce il suo nome attuale.
Frequentato da Pasolini e Moravia, nella seconda metà del Novecento è il ritrovo di artisti e intellettuali. Oggi vanta un’interessante programmazione d’essai e organizza incontri con attori e registi.
7. Piazza Capo di Ferro,13 (Regola)
PALAZZO SPADA: DOPPIO DELITTO DI STENO (1977)
IL LUOGO
Ci troviamo in una delle zone più suggestive di Roma, in piazza Capo di Ferro, piccolo slargo lungo il percorso che da piazza Farnese conduce a via Arenula. L’edificio principale che vi si affaccia, Palazzo Spada, è stato costruito nel 1540 da Bartolomeo Baronino e Giulio Mazzoni per il cardinale Capodiferro.
Nel 1632 il palazzo viene acquistato dal cardinale Bernardino Spada, che affida i nuovi lavori a Francesco Borromini il quale, aiutato dal matematico Padre Giovanni Maria da Bitonto, crea sorprendenti capolavori trompe-l’oeil con false prospettive e illusioni ottiche.
Il palazzo è stato acquistato dallo Stato italiano nel 1927 e oggi ospita il Consiglio di Stato, oltre alla magnifica collezione della Galleria Spada.
LA STORIA
“Uno dei palazzi più belli di Roma”, lo definisce Toni Servillo, alias Jep Gambardella, nel film premio Oscar La grande bellezza di Paolo Sorrentino, mentre Sabrina Ferilli attraversa la finta prospettiva delle colonne del Borromini.
La ricca dimora rinascimentale è stata il set multiuso di numerosi film, a partire da Le sorelle Materassi (1944) di Ferdinando Maria Poggioli fino a Roma di Federico Fellini. È inoltre un tribunale barocco in Amori e veleni (1950) di Giorgio Simonelli, sede dell’università nel thriller I corpi presentano tracce di violenza carnale (1973) di Sergio Martino ed è il terribile palazzo dell’Inquisizione nel Giordano Bruno (1973) di Giuliano Montaldo. Vi abita poi l’indiavolata Carla Gravina ne L’anticristo (1974) di Alberto De Martino e in Roma drogata (1975) di Lucio Marcaccini vi si svolge un droga party e un giovane si uccide gettandosi da una delle finestre.
Ma solo in questo giallo datato 1977 e firmato dal papà dei fratelli Vanzina, Palazzo Spada e piazza Capo di Ferro sono al centro dell’intero film. Il primo è la residenza nobiliare dei principi Dell’Orso nella quale avviene il doppio delitto del titolo e nella seconda indaga il commissario Marcello Mastroianni e si muovono Agostina Belli, Mario Scaccia e gli altri interpreti.
Tratto dal romanzo di Ugo Moretti Doppia morte al Governo Vecchio, il film diventa nelle mani di Age e Scarpelli, sceneggiatori maestri della commedia all’italiana, un noir a tinte rosa dalle atmosfere inedite, arricchito da un cast internazionale che comprende Peter Ustinov, Ursula Andress e Jean-Claude Brialy.
La fotografia di Luigi Kuveiller inquadra al meglio i vicoli romani e la musica di Riz Ortolani orchestra perfettamente una gustosa miscela di ironia e mistero.
NELLE VICINANZE
Nel grande palazzo di Lungotevere dei Vallati 2, di fronte a Ponte Sisto, ha vissuto Carlo Verdone, con il padre Mario, critico cinematografico, la madre Rossana e il fratello Luca, regista. Ai ricordi di questo luogo Verdone ha dedicato il libro La casa sopra i portici, un’autobiografia allo stesso tempo divertente e malinconica.
8. Viale delle Mura Gianicolensi, 11 (Monteverde)
VILLA SCIARRA: SEI DONNE PER L’ASSASSINO DI MARIO BAVA (1964)
IL LUOGO
Siamo in una delle ville urbane più antiche di Roma, collocata tra Monteverde Vecchio e Trastevere, sulle pendici del Gianicolo. Qui un tempo sorgeva il bosco sacro della ninfa Furrina, luogo in cui, nel 121 a.C., il tribuno Gaio Gracco si fece uccidere dal suo schiavo. Poi l’area ha ospitato gli Orti di Cesare, i giardini che l’imperatore ha lasciato in eredità al popolo romano.
La villa originaria risale al XVI secolo, trasformata da ognuno dei numerosi proprietari che si sono succeduti nel corso degli anni (da metà Settecento, la nobile famiglia pontificia Sciarra, che le ha dato il nome).
L’aspetto attuale si deve al diplomatico americano e collezionista d’arte George Wurts, che la acquistò nel 1902. Dopo la sua morte, la moglie donò la villa a Benito Mussolini, a condizione che il giardino fosse destinato a parco pubblico. Il villino, noto anche come il Castelletto, presso l’entrata della villa, è invece la sede del Museo della Matematica.
LA STORIA
Povero di budget ma ricco di idee, Mario Bava è un maestro quando deve sprigionare atmosfere sinistre da luoghi tutt’altro che tenebrosi.
Dopo aver reso inquietante la scalinata di Trinità dei Monti nel suo La ragazza che sapeva troppo, così innocua e solare nell’immaginario di qualsiasi turista, trasformare il parco di Villa Sciarra in uno scenario da incubo diventa uno scherzo. Gli è stato sufficiente girare il film di notte, come vediamo fin dalla prima sequenza, sfruttare sapientemente gli squarci di luce nel buio, far passare gli attori sotto i fitti tunnel di alberi e ambientarci l’omicidio.
Scritto da Marcello Fondato (che aveva sceneggiato per Bava l’horror I tre volti della paura), Sei donne per l’assassino (1964) è considerato il thriller che ha dettato gli stilemi del giallo-horror degli anni Settanta, ispirando Dario Argento e i suoi successori. La narrazione viene scandita dal rituale seriale degli omicidi, anticipati da inseguimenti angosciosi e conclusi da dettagli efferati di sadismo splatter. Fare di Villa Sciarra un atelier di alta moda permette di scegliere come vittime una rosa di bellissime ragazze che aggiunge un tocco di morbosità erotica e una vaga denuncia moralista della superficialità e della corruzione di quel mondo (oltre vent’anni dopo Carlo Vanzina ne trarrà ispirazione per Sotto il vestito niente). La fotografia di Ubaldo Terzano e la colonna sonora di Carlo Rustichelli influenzano tutti i successivi registi del genere, non solo italiani. Quentin Tarantino e Martin Scorsese devono molto a tali trovate e Wes Craven ha dichiarato di aver costruito il personaggio di Freddy Krueger in Nightmare sull’immagine dell’assassino di questo film, compresi artigli e cappellaccio.
NELLE VICINANZE
In Via Carini 45 abitava il poeta Attilio Bertolucci con i due figli Giuseppe e Bernardo, entrambi autori tra i più importanti del nostro cinema. Bernardo esordì nella regia usando come location proprio Villa Sciarra, dove ambientò alcune sequenze del suo La commare secca (1962), scritto da Pier Paolo Pasolini. Il titolo si riferisce alla morte, così definita in un sonetto del Belli.
9. Via di Sant’Alessio (Ripa)
VIA DI SANT’ALESSIO: BIANCA DI NANNI MORETTI (1984)
IL LUOGO
Siamo nel rione Ripa, che prende il nome dal porto di Ripa Grande, il più importante dell’antica Roma, nel quale approdavano le merci in transito sul Tevere.
La zona, una delle più antiche della città, comprende luoghi di altissima importanza storico-archeologica quali il Circo Massimo, la Basilica di Santa Maria in Cosmedin con la Bocca della verità, il Roseto comunale, il Giardino degli Aranci e la Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio.
LA STORIA
Il fascino e l’eleganza delle strade dell’Aventino, fotografate magnificamente da Luciano Tovoli, riflettono il carattere di Bianca, l’affascinante professoressa di francese interpretata da Laura Morante che dà il titolo al film. Abita in via di Sant’Alessio e di lei si innamora il professore di matematica Nanni Moretti – Michele Apicella (alter ego dell’attore e regista in altri suoi film, da Io sono un autarchico a Palombella rossa).
La messinscena dei pensieri, dei tic e delle idiosincrasie di questo doppio del regista, che ha un antecedente solo nell’Antoine Doinel di François Truffaut (il quale fece però interpretare il suo alter ego a Jean-Pierre Léaud), è rappresentata stavolta in chiave di thriller esistenziale con tocchi da commedia surreale e un finale di astrazione visionaria.
Stralunato e lucidissimo, Bianca (1984) è una delle vette del cinema morettiano e della sua autobiografia psicologica attraverso il linguaggio del cinema. La nevrosi e l’alienazione, coniugati all’affermazione della propria diversità, si esprimono attraverso un linguaggio davvero diverso e inedito nel panorama nostrano e non solo. La solitudine, l’ossessione cinefila per lo sguardo e l’osservare, la paura di essere un mostro e la difficoltà di comunicare con gli altri trovano nel registro del giallo grottesco d’autore la loro sede più adeguata. Il barattolone di Nutella e la frase finale della pellicola “È triste morire senza figli” sono forse i due momenti del film che si identificano alla perfezione con l’idea di cinema di Nanni Moretti.
NELLE VICINANZE
In via della Piramide Cestia 1, di fronte alla Basilica di San Saba, c’è la sede della Sacher Film, la casa di produzione e distribuzione cinematografica di Nanni Moretti. Fondata nel 1987, ha prodotto tutti i film del regista e ha fatto esordire, tra gli altri, autori del calibro di Carlo Mazzacurati, Daniele Luchetti e Mimmo Calopresti.
10. Ponte Marconi (Portuense)
PONTE MARCONI: 4 MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO DI DARIO ARGENTO (1971)
IL LUOGO
Situato di fronte alla Basilica di San Paolo, Ponte Marconi, collega i quartieri Portuense e Ostiense. Progettato negli anni Trenta, a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale fu realizzato solo negli anni Cinquanta.
La sua inaugurazione ufficiale avvenne il 26 febbraio 1955 con la contestuale intitolazione all’inventore del telegrafo Guglielmo Marconi. Con i suoi 235 metri, è il ponte più lungo di Roma.
Si trova nella zona del sito archeologico del Porto fluviale di Pietra Papa, l’importante scalo dove sarebbe attraccata la nave della regina Cleopatra al suo arrivo a Roma, nel 46 a.C.
LA STORIA
Che ci fa Bud Spencer in un film di Dario Argento? Interpreta Diomede, detto Dio (infatti alla sua apparizione la colonna sonora esplode in un Alleluia), un pescatore che vive in una baracca sulle sponde del Tevere sotto Ponte Marconi.
Il personaggio è preso in prestito dal romanzo di Fredric Brown The Screaming Mimi, da cui il regista aveva tratto L’uccello dalle piume di cristallo, eliminato in quel film e recuperato in questo.
L’attore, la location e la musica sono accomunati dall’effetto sorpresa: lo spettatore rimane spiazzato di trovare il Bambino de Lo chiamavano Trinità nel contesto di un’opera argentiana, per cui la sigla sacra che lo presenta suona come una parentesi scanzonata e l’ambientazione romanesca rurale sembra trapiantare nel thriller le atmosfere degli spaghetti western. Non è un caso che Dario Argento sia stato per anni lo sceneggiatore di Sergio Leone e che la colonna sonora del film sia firmata dal grande Ennio Morricone. Anche lo scioglimento del caso con la rivelazione dell’assassino è legato, come nei western di Leone, a un trauma radicato nel passato e scandito da un sogno-tormento del protagonista che prefigura il finale.
Arrivato all’ultimo capitolo della trilogia degli animali dopo L’uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code, Argento sperimenta all’interno del suo cinema, siparietti comici e un cast eterogeneo che contiene Oreste Lionello, Mimsy Farmer e Stefano Satta Flores.
Lo spunto del soggetto nasce da una tecnica investigativa secondo la quale dalla retina della vittima si può ricavare l’immagine fissata in punto di morte: in questo caso mostra quattro mosche di velluto grigio.
Dopo questo film il regista cambierà genere, per la prima e ultima volta, girando Le cinque giornate con Adriano Celentano.
NELLE VICINANZE
La leggendaria e tragicomica partita di calcio tra scapoli e ammogliati del primo Fantozzi (1975) di Luciano Salce viene giocata da Paolo Villaggio nel campetto di Lungotevere Dante: dietro gli improbabili calciatori aziendali si può scorgere infatti Ponte Marconi. Oggi il campetto non c’è più: al suo posto, un moderno centro sportivo.
(Testi a cura di Fabio Canessa, podcast a cura di Alessandra Accardo)
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