VIA DEL TEMPIO: INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO DI ELIO PETRI (1970)
IL LUOGO
La via prende il nome dal Tempio Maggiore, la sinagoga principale di Roma, tra le più grandi d’Europa, costruita dagli architetti Armanni e Costa nel 1901 sui resti dell’antico Ghetto ebraico (ricostruito in 3D in una sala all’interno del tempio) e inaugurata nel 1904.
All’alba del 16 ottobre 1943, il quartiere viene circondato dai nazisti e 1023 ebrei sono catturati e deportati in treno ad Auschwitz (di questi, solo 16 sono i sopravvissuti). Il Portico d’Ottavia, dedicato alla sorella di Augusto che lo costruì nel 27 a.C. (poi restaurato nel 203 da Settimio Severo), dal Medioevo fino all’Ottocento ospitava il mercato del pesce.
La zona, oltre all’importanza religiosa, storica e culturale e a numerosi siti archeologici (come il Teatro di Marcello), è ricca di ristoranti tipici di cucina kosher, di forni storici e pasticcerie di antica tradizione giudaica.
LA STORIA
Al primo piano del palazzo di fronte alla sinagoga, in via del Tempio, abita Augusta Terzi (Florinda Bolkan). Qui arriva, all’inizio del film, il capo della polizia Gian Maria Volonté: Augusta è la sua amante, ma la donna ha anche una relazione con l’anarchico Antonio Pace (Sergio Tramonti) che abita pure lui in quel palazzo. Il poliziotto la uccide e lascia volontariamente nell’appartamento di lei una serie di prove e indizi che potrebbero incriminarlo. Arroganza dell’impunità del potere o desiderio di essere smascherato? Il film, uscito dopo la morte di Giuseppe Pinelli e l’arresto di Pietro Valpreda per la strage di piazza Fontana, accende forti polemiche. Sulle colonne del Corriere della Sera il critico Giovanni Grazzini lo acclama in nome della libertà come il primo film italiano, dopo tanto cinema americano a base di poliziotti corrotti, che attacca l’istituzione della polizia, fatto che “costituisce un importante passo avanti verso una società più adulta, tanto sicura di sé e della democrazia da potersi permettere di criticare istituti tenuti per sacri”. Lotta Continua invita i lettori a identificare il protagonista del film con il commissario Luigi Calabresi.
Al di là delle intenzioni politiche, il film è uno dei capolavori del nostro cinema, dove ognuno ha dato il meglio di sé: la regia di Elio Petri fonde magistralmente thriller e grottesco, visionarietà e realismo, noir e impegno civile; l’interpretazione di Gian Maria Volonté tocca l’apice del virtuosismo e la musica celeberrima del maestro Ennio Morricone, con il suo ritmo incalzante da poliziesco nevrotico, è parte integrante del contenuto del film. Uscito nel gennaio 1970, vince il Premio Oscar e il Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes.