Un percorso sui luoghi del cinema neorealista prevede inevitabilmente cambiamenti profondi, perché le strade scalcinate del Dopoguerra sono oggi irriconoscibili dopo il progresso (per fortuna) e la cementificazione (purtroppo). È perciò ancora più suggestivo rintracciare l’abitazione in corso Trieste di Aldo Fabrizi, accanto al forno di sua proprietà, in Prima comunione di Blasetti, o la casa sulla Nomentana, in via Giuseppe Vasi, nella quale vanno a vivere i poveri sposini raccontati da Vittorio De Sica nel film Il tetto.
Seguiamo le orme lasciate da due film divenuti un manifesto del Neorealismo, entrambi diretti da Vittorio De Sica, e ci spostiamo prima in via Crispi, set della sequenza più famosa di Ladri di biciclette, quella del furto della bici, e poi in via Veneto, dove i piccoli Sciuscià lucidano le scarpe ai clienti.
Ci spostiamo in largo di Santa Susanna, al centro del quale il vigile Marcello Mastroianni dirige il traffico in Domenica d’agosto di Luciano Emmer, e arriviamo in via San Martino della Battaglia, dove abita l’anziano Umberto D, altra pellicola diretta da De Sica. Da qui ci dirigiamo in via del Pigneto, sul ponticello in cui Renato Salvatori aspetta la fidanzata in La domenica della buona gente di Majano. Ma dobbiamo spingerci fino a via Montecuccoli per onorare la scena più celebre del Neorealismo: l’uccisione di Anna Magnani in Roma città aperta di Roberto Rossellini. Prossima tappa, il ristorante Il Biondo Tevere di via Ostiense, dove sempre la Magnani va a mangiare con Walter Chiari in Bellissima di Luchino Visconti. E infine andiamo in via Corfinio. Qui abitano i protagonisti di Sotto il sole di Roma di Renato Castellani.
1. Via Giuseppe Vasi (Nomentano)
VIA GIUSEPPE VASI: IL TETTO DI VITTORIO DE SICA (1956)
IL LUOGO
La zona è quella della Batteria Nomentana, così chiamata dalla struttura fortificata costruita dopo la breccia di Porta Pia per proteggere Roma dalle incursioni nemiche. Via Giuseppe Vasi è una stradina senza uscita a pochi metri dalla Villa Blanc della Luiss Business School, che da via Nomentana scende verso il vallo ferroviario per essere poi interrotta dal grande riempimento della terra di riporto sulla quale corre la tangenziale est e dagli isolati delle vie Alessandro Canezza e Rodolfo Lanciani.
LA STORIA
Il tetto è quello che cercano i due sposini protagonisti del film, così poveri da non avere una casa e costretti ad andare ad abitare nel piccolo appartamento della famiglia di lui in via Giuseppe Vasi, set principale del film e strada intorno alla quale ruotano tutti i guai e le aspirazioni di Giorgio Listuzzi-Natale e Gabriella Pallotta-Luisa. Qui, in poche stanzette sovraffollate vivono i genitori, la sorella con il marito e i numerosi figli. Dopo aver litigato con i parenti, la giovane coppia decide di costruirsi una dimora abusiva: scoprono, infatti, che se riusciranno a completare in una notte una casetta fornita di tetto, questa non potrà essere demolita. Nel finale, una nota di speranza. Il film, ultimo scampolo del neorealismo e canto del cigno della celebrazione della solidarietà umana tra poveri in una società ostile, racconta in presa diretta la nascita di molte borgate romane, formatesi e cresciute proprio grazie all’espediente della costruzione notturna. L’ambientazione in via Giuseppe Vasi è particolarmente rappresentativa e funzionale al racconto: la strada era all’epoca formata da poche palazzine, molte case piccole e vecchie con qualche baracca. Il panorama urbano si è poi velocemente trasformato a causa di un’intensa cementificazione che ha mutato l’aspetto della Nomentana, negli anni Cinquanta una tranquilla via consolare a due carreggiate poi ampliata fino alle dimensioni attuali a scapito del territorio circostante. Confrontando le immagini girate da Vittorio De Sica nel 1956 con la via Giuseppe Vasi attuale si possono misurare la vastità e la profondità del cambiamento urbanistico, a cominciare dal giardino che si vede nel film, oggi diventato il cemento su cui corre la via Nomentana.
NELLE VICINANZE
“In questa casa visse e operò dal 1940 al 1989 Cesare Zavattini (1902-1989), scrittore, pittore e sceneggiatore, regista, teorico del neorealismo”. Così recita una lapide in via Sant’Angela Merici 40, in ricordo di uno dei più vivaci ed eclettici artisti del Novecento, autore del soggetto e della sceneggiatura di questo film, girato a due passi da casa sua, oggi sede della Fondazione Zavattini, curata dal figlio Arturo.
2.Corso Trieste (Trieste-Salario)
CORSO TRIESTE: PRIMA COMUNIONE DI ALESSANDRO BLASETTI (1950)
IL LUOGO
C’era una volta il fosso di Sant’Agnese, un piccolo corso d’acqua che scorreva tra la Nomentana e la Salaria, ancora visibile nel piano regolatore di Roma del 1909. Aveva inizio dove oggi c’è l’incrocio tra corso Trieste e via Chiana e sfociava nell’Aniene, nel punto in cui ora sorge il Ponte delle Valli. Quel fiumiciattolo è stato trasformato nel sistema fognario e la valletta in cui scorreva è diventata corso Trieste. Al posto dei villaggi di baracche che costeggiavano il fosso, oggi c’è un corso elegante di abitazioni signorili, bei negozi, uffici e scuole importanti, come il liceo Giulio Cesare. Una strada-salotto che dà il nome a un quartiere di impronta liberty, abbellita dai pini e meta dello shopping, che negli anni Ottanta è stata teatro dell’assalto terrorista che costò la vita al poliziotto Francesco Evangelista, detto Serpico.
LA STORIA
Il clima del neorealismo penetra nel genere della commedia e il dramma si attenua nei toni agrodolci, i più adatti per raccontare la quotidianità familiare, tra problemi seri e imprevisti buffi. Protagonista di molti di questi film è il grande Aldo Fabrizi, maestro dei modi burberi ma bonari e sempre umanissimi con i quali rappresenta il buon padre di famiglia. Qui interpreta il commendator Carlo Carloni, proprietario di un forno pasticceria che ha casa e bottega in corso Trieste 10. In vista della prima comunione della figlia Anna-Andreina Mazzotto, Carlo esce di casa per andare a prendere il vestito dalla sarta, ma il breve viaggio tra le strade di Roma si rivela un’odissea. Le difficoltà a guidare l’auto, l’affollamento di una Roma che da paesone si è trasformata in metropoli, la litigiosità di un popolo che ha dimenticato la solidarietà e sta diventando nevrotico sono piccole notazioni di costume in grado di registrare l’aria dei tempi, di coinvolgere gli spettatori facendoli identificare con i protagonisti del film e di lasciare ai posteri un documento della società di quegli anni più efficace di tanti saggi storici. Merito del regista Alessandro Blasetti e, soprattutto, di Cesare Zavattini, autore del soggetto e della sceneggiatura, capace di traghettare gli umori neorealisti esplorati nelle opere di Vittorio De Sica all’interno di uno spettacolo più leggero e popolare ma non meno significativo. La tragedia della miseria in un mondo dove i poveri si sentono prigionieri impotenti di una società nemica sfuma nell’ironia con cui si osserva l’inadeguatezza della gente comune ad adattarsi a una città in trasformazione. Emblematica la voce narrante di Alberto Sordi.
NELLE VICINANZE
Tra corso Trieste e via Capodistria, al terzo piano della casa in via degli Appennini 47, abitava “il mattatore” Vittorio Gassman (1922-2000) insieme alla moglie Diletta D’Andrea, nello stesso palazzo dove aveva già vissuto con la madre Luisa e con Shelley Winters.
3.Via Veneto (Colonna-Ludovisi)
VIA VENETO: SCIUSCIÀ DI VITTORIO DE SICA (1946)
IL LUOGO
La strada più famosa di Roma deve il suo fascino alla vita mondana di cui fu il cuore negli anni Cinquanta e Sessanta. Alberghi di lusso come l’Excelsior, locali come il Cafè de Paris e l’Harry’s Bar erano frequentati da cineasti nostrani e divi di Hollywood, mentre ai tavolini dei caffè sedevano scrittori e intellettuali. Frank Sinatra e Pasolini, Alain Delon e il poeta Cardarelli, Liz Taylor e Moravia, Burt Lancaster e Alfonso Gatto, Cary Grant e Umberto Eco, Ava Gardner ed Eugenio Scalfari, Jean Paul Belmondo ed Ernest Hemingway formavano il cast eterogeneo e irripetibile che rese la via il set vivente immortalato da La dolce vita di Fellini. Al civico 27, la chiesa di S. Maria della Concezione ospita il seicentesco Cimitero dei Cappuccini, un’impressionante rassegna di decorazioni composte con ossa e corpi mummificati di migliaia di frati.
LA STORIA
L’idea del film nacque nel 1944 proprio in via Veneto, dove lavoravano due “shoeshiner” dodicenni che “pulivano le scarpe in fretta e furia e poi, racimolate tre o quattrocento lire, correvano su a Villa Borghese ad affittare un cavallo”. Vittorio De Sica li conobbe e ne fece i protagonisti di questo capolavoro del neorealismo, vincitore del Premio Oscar con una motivazione che suona come un riconoscimento internazionale al cinema italiano dell’epoca: “L’alta qualità di questo film, mostrata con eloquenza in un paese ferito dalla guerra, è la prova per il mondo che lo spirito creativo può trionfare sulle avversità”. La sceneggiatura di Cesare Zavattini e Sergio Amidei (alla quale collaborano Adolfo Franci, Cesare Giulio Viola e Gerardo Guerrieri) viene messa in scena secondo la formula documentaristica di usare attori presi dalla strada e girare negli ambienti reali. Così, il marciapiede in cima a via Veneto dove lavoravano come lustrascarpe i veri Scimmietta e Cappellone, che nel film si chiamano Pasquale e Giuseppe (interpretati rispettivamente da Franco Interlenghi e Rinaldo Smordoni), è il medesimo che si vede nel film, come vere sono le location del tribunale nel Palazzo di Giustizia e del carcere minorile San Michele. Il film scandalizzò il pubblico borghese per avere impietosamente inquadrato gli esterni di una Roma miserabile appena uscita dalla guerra. De Sica ricorda che all’uscita di un cinema di Milano dove veniva proiettato, fu aggredito da uno spettatore che gli gridava di vergognarsi di diffondere un’immagine dell’Italia così malridotta perché “i panni sporchi si lavano in casa”. Settant’anni dopo, il regista Mimmo Verdesca dedica al film i documentari Protagonisti per sempre (2014) e Sciuscià 70 (2016).
NELLE VICINANZE
Ai piedi di via Veneto, in piazza Barberini 24, si trova il cinema Barberini, una delle poche sale storiche rimaste in città. Inaugurato nel 1930, il 20 luglio 1935 ospitò Walt Disney per la presentazione dei suoi primi film d’animazione. Nel settembre 1942 Alberto Sordi sostava per ore di fronte alla sua uscita per raccogliere i commenti degli spettatori su I tre aquilotti, il suo primo film da protagonista. Oggi è una multisala fresco di restauro.
4.Via Francesco Crispi (Colonna)
VIA FRANCESCO CRISPI: LADRI DI BICICLETTE DI VITTORIO DE SICA (1948)
IL LUOGO
Situata tra piazza Barberini e Trinità dei Monti, via Francesco Crispi è un’antica strada in leggera salita con ristoranti, alberghi e botteghe artigiane tipiche del centro storico. Appena fuori dal flusso turistico, è ricca di attrattive culturali: oltre alla chiesa di San Giuseppe a Capo le Case, troviamo in pochi metri la Galleria Comunale d’Arte Moderna (tremila opere, tra cui capolavori di De Chirico, Morandi e Marini), la privata Gagosian Gallery, tempio dell’arte contemporanea, e la Fondazione Nicola Del Roscio, sede di mostre importanti.
LA STORIA
Il furto della bicicletta attorno al quale ruota l’intera vicenda del film avviene in via Francesco Crispi, pochi metri sopra il civico 18, mentre Lamberto Maggiorani, nel ruolo del protagonista Antonio Ricci, è salito sulla scala per attaccare il manifesto del film Gilda sul muro accanto alla Galleria d’Arte Moderna, della quale viene inquadrata la scalinata d’ingresso. Qui comincia l’inutile corsa per inseguire il ladro fino all’incrocio con via del Tritone. Capolavoro del neorealismo e classico del cinema, vincitore del Premio Oscar e prezioso documento storico, il film nasce dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini pubblicato nel 1946 e amato da Cesare Zavattini, che vi si ispirò per scrivere il soggetto e la sceneggiatura (insieme a Suso Cecchi D’Amico, Oreste Biancoli, Adolfo Franci, Gerardo Guerrieri e Gherardo Gherardi). Rimasta a lungo in gestazione perché De Sica ricevette rifiuti da tutti i produttori italiani, la pellicola avrebbe ottenuto un grosso finanziamento dagli americani se il regista avesse accettato Cary Grant come protagonista. Chissà che cosa sarebbe diventato in quel caso il film, rimasto nella storia proprio per la naturalezza della recitazione di attori non professionisti e l’autenticità dello sguardo della macchina da presa che si muove per le strade spesso desolate della Roma del dopoguerra. La poetica dichiarata da De Sica è quella di “rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca”. La perfetta adesione tra denuncia sociale del plot e realismo delle location è il merito maggiore del film: quello, scrive il critico André Bazin, di “non tradire l’essenza delle cose” e di farci percepire “il vero linguaggio della realtà”.
NELLE VICINANZE
In via Sistina 129 si trova lo storico Teatro Sistina, progettato da Marcello Piacentini e nato come cinema teatro nel 1949, quando fu inaugurato come set di Totò cerca moglie (1950) di Carlo Ludovico Bragaglia. Regno delle celebri commedie musicali firmate Garinei e Giovannini, sul suo palcoscenico sono stati consacrati al successo i maggiori artisti del nostro spettacolo, tra cui Totò, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Luigi Proietti, Aldo Fabrizi, Mariangela Melato, Renato Rascel, Carlo Dapporto, Gino Bramieri, Walter Chiari, Enrico Montesano e Paolo Panelli.
5. Largo Santa Susanna (Trevi)
LARGO SANTA SUSANNA: DOMENICA D’AGOSTO DI LUCIANO EMMER (1950)
IL LUOGO
Il nome del largo, che si trova sopra le antichissime Mura Serviane, deriva da quello della martire Susanna, decapitata nel 295 di fronte alla sua abitazione su ordine di Diocleziano per aver rifiutato di sposare Massimiliano, un pagano figlio adottivo dell’imperatore. Sepolta nelle catacombe di San Callisto per volere della moglie di Diocleziano, sulla sua casa è edificata la chiesa di Santa Susanna. Al civico 13 ha sede l’Ufficio geologico, costruito a fine Ottocento, che si occupa della carta geologica d’Italia e ospita un museo di mineralogia e paleontologia.
LA STORIA
Il vigile urbano Marcello Mastroianni-Ercole Nardi dirige il traffico sulla pedana di largo Santa Susanna, ma nel deserto della Roma estiva non c’è traccia di auto, né dal lato di via Bissolati né da quello di corso Vittorio Emanuele Orlando. È domenica 7 agosto 1949 e i romani abbandonano la città per dirigersi verso la spiaggia di Ostia. Esordio in stato di grazia per Luciano Emmer, che inventa il film a episodi intrecciati, la pellicola racconta in modo alternato sei storie che orchestrano un affresco corale che traghetta il neorealismo verso la commedia balneare. Le biciclette non vengono rubate ma conducono sulla spiaggia, lo sguardo del regista non denuncia la miseria ma la trasformazione e la voglia di vivere degli italiani. Scritta e prodotta da Sergio Amidei e sceneggiata dal veterano Cesare Zavattini e dal giovane Franco Brusati, poi uno dei maggiori registi degli anni Settanta (Pane e cioccolata, Dimenticare Venezia) riesce a essere insieme un documento storico rappresentativo di un periodo nevralgico per la storia italiana e un’opera d’arte universale capace di cogliere la realtà con una semplicità sorridente e umanissima, a metà tra Rohmer e Monicelli. Esempio di cinema non deperibile, il film non risulta datato e la sua freschezza comunica ancora una energica vivacità giovanile. Gli devono molto Una domenica d’estate (1962) di Giulio Petroni, Frenesia dell’estate (1964) di Luigi Zampa, L’ombrellone (1965) di Dino Risi, Casotto (1977) di Sergio Citti, Sapore di mare (1983) di Carlo Vanzina. A completare il cast, due nomi d’eccezione: un aiuto regista che si chiama Francesco Rosi, che diventerà uno dei registi più celebri del cinema italiano e il doppiatore di Mastroianni e Alberto Sordi.
NELLE VICINANZE
Il Teatro de’ Servi, in via del Mortaro 22, inaugurato nel 1957 da Eduardo De Filippo, costituisce da sempre un punto di riferimento per gli appassionati del teatro. Sul suo palcoscenico hanno lavorato, tra gli altri, Fiorenzo Fiorentini, Valeria Moriconi, Aldo Giuffré, Mario Landi, Luciano Lucignani, Katia Ricciarelli, Renzo Rossellini e Silvio Spaccesi.
6. Via San Martino della Battaglia (Castro Pretorio)
VIA SAN MARTINO DELLA BATTAGLIA: UMBERTO D. DI VITTORIO DE SICA (1952)
IL LUOGO
Dalla caserma della guardia imperiale che unificava le coorti pretorie, istituita da Elio Seiano sotto l’imperatore Tiberio nel 23, nasce il nome del rione Castro Pretorio. Quartiere di ville e palazzi signorili edificati in età umbertina, si sviluppa intorno a piazza della Repubblica (già piazza Esedra) e alla celebre fontana delle Naiadi e ha come monumenti principali la chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove si svolgono le cerimonie ufficiali della Repubblica Italiana, e le Terme di Diocleziano.
LA STORIA
La camera d’affitto nella quale vive Umberto Domenico Ferrari si trova in via San Martino della Battaglia 14 accanto al cinema Iride, demolito da tempo. È un pensionato del ministero, si chiama Umberto come il padre del regista ed è interpretato da Carlo Battisti, docente di Glottologia all’Università. I tre anziani sembrano fondersi nel ritratto di una vecchiaia caratterizzata dalla solitudine, sia per un piccolo borghese come il personaggio modellato da Zavattini sull’impiegato di banca Umberto De Sica, sia per un insigne accademico come Battisti, che ne recita il ruolo.
La denuncia sociale non manca (il film si apre su un corteo di protesta per l’aumento delle pensioni), ma stavolta si tratta piuttosto di un neorealismo esistenziale, che usa la macchina da presa non tanto come una penna per raccontare una storia quanto come uno sguardo attraverso cui osservare pazientemente la realtà nel suo complesso, compresi i momenti in apparenza morti che si rivelano i più significativi. Così, la Roma di Castro Pretorio attraverso la quale passeggia Umberto D., da via Cernaia a via Palestro a via Calatafimi, si accorda con tono dimesso alla sua vita avara di emozioni e gratificazioni. Qui si capisce quanto la cifra del neorealismo anziché politica sia etica: i bambini lustrascarpe, il padre derubato della bicicletta e il vecchio pensionato sono vittime di una società cinica e indifferente. Il rimedio ai loro guai sarebbe la solidarietà, come scrisse il critico Luigi Chiarini a proposito del realismo poetico: “De Sica e Zavattini sono commoventi: in senso buono, in quanto vogliono toccare più il cuore dello spettatore che la sua intelligenza, perché essi credono nella bontà e pensano che solo in questa ci sia possibilità di salvazione”.
NELLE VICINANZE
Il Policlinico Umberto I è stato il set di numerosi film, tra i quali Roma ore 11 (1952) di Giuseppe De Santis, uno dei maggiori esponenti del cinema neorealista. Basato su un fatto realmente accaduto, il film racconta il crollo di una ringhiera che causa la caduta di alcune giovani in fila per un posto di lavoro. In viale del Policlinico 155, all’ingresso dell’ospedale, vengono portate le ragazze ferite, una delle quali morirà.
7.Via Raimondo Montecuccoli (Prenestino)
VIA RAIMONDO MONTECUCCOLI: ROMA CITTÀ APERTA DI ROBERTO ROSSELLINI (1945)
IL LUOGO
Zona prevalentemente rurale fino a metà Novecento, il quartiere Prenestino ha iniziato a svilupparsi sull’onda di un’urbanizzazione crescente dal 1950. Caratterizzato da ampie aree verdi come il Parco archeologico di Villa Gordiani e il Parco Casilino-Labicano di Villa de Sanctis, questo rione di impronta popolare è ricco di siti di interesse storico, come il Mausoleo di Sant’Elena. Via Montecuccoli è nota per essere stata set del cinema neorealista negli anni Quaranta e per la scoperta, nel 2003, del covo delle nuove Brigate Rosse al civico 3.
LA STORIA
Una delle sequenze più iconiche della storia del cinema è girata in via Raimondo Montecuccoli: quella in cui Anna Magnani corre inseguendo la camionetta che porta via il marito e viene falciata dalla mitragliata dei nazisti. Nel film si chiama Pina, ma nella realtà si chiamava Teresa Talotta, uccisa da un soldato tedesco di fronte alla caserma in viale Giulio Cesare mentre cercava di parlare col marito prigioniero, Girolamo Gullace (il Francesco del film). Così come il don Pietro Pellegrini di Aldo Fabrizi è modellato, anche nel nome, sulla figura di don Pietro Pappagallo, prete partigiano morto alle Fosse Ardeatine, il comandante Kappler è diventato il maggiore Bergmann e Marcello Pagliero nel ruolo di Manfredi non è altri che il direttore de “L’Unità” Celeste Negarville, sceneggiatore del film insieme a Sergio Amidei, Federico Fellini, Ferruccio Disnan e lo stesso Rossellini. Nata da un soggetto di Alberto Consiglio su padre Pappagallo, su cui Amidei innestò la vicenda di Teresa, l’opera considerata il manifesto del Neorealismo viene progettata nel settembre 1944 e finita di girare nel giugno 1945. Rossellini per primo fa uscire la macchina da presa per le strade di una Roma stremata, da pochi mesi libera dai nazifascisti e trova nel quartiere popolare del Prenestino la scenografia più adeguata a raccontare la verità di tragedie appena accadute: i grandi cortili, le trattorie dimesse, i caseggiati poveri devastati dai bombardamenti, i muri scrostati di via Montecuccoli (la casa di Pina e Francesco è al civico 17, il forno assaltato al civico 8), le strade polverose dell’Ostiense, i veri abitanti del quartiere usati come comparse. L’impasto tra cinema e realtà raggiunge il vertice dell’arte.
NELLE VICINANZE
Sulla via Prenestina avviene il viaggio sul carro di Totò e Peppino De Filippo nel classico della comicità Totò, Peppino e la malafemmina (1956) di Camillo Mastrocinque: la fattoria dei fratelli Caponi si trova in via del Ponte di Nona, come la fattoria Mezzacapa del rivale Mario Castellani.
8.Via del Pigneto (Pigneto)
VIA DEL PIGNETO: LA DOMENICA DELLA BUONA GENTE DI ANTON GIULIO MAJANO (1953)
IL LUOGO
Via del Pigneto è la strada principale del quartiere omonimo, di impronta schiettamente popolare, che attraversa quasi interamente fino a via di Acqua Bullicante partendo dalla Porta Maggiore di piazza Caballini, sede del primo deposito romano di omnibus a cavallo a fine Ottocento e poi elettrificato come linea tranviaria. Il rione, durante il ventennio del regime impegnato nell’attività antifascista, è stato seriamente danneggiato dai bombardamenti. Molti i parchi e i siti di interesse storico, artistico e architettonico.
LA STORIA
Dopo la panoramica su Roma dei titoli di testa, una delle prime sequenze del film è ambientata al deposito del tram di piazza Caballini, con i tranvieri in lite per questioni di tifo. È domenica 23 gennaio 1953 e allo Stadio Torino si disputerà la partita Roma-Napoli, sulla quale è incentrato l’intero film, che intreccia diversi episodi di vita quotidiana che si svolgono nell’arco della stessa giornata. La sfida calcistica funziona come pretesto per confezionare un film corale che racconta varie vicende sentimentali condite di ironia sul fenomeno del tifo romanista, capace di coinvolgere tutta la popolazione, come dimostra il prete di San Francesco a Ripa che, celebrata messa, corre allo stadio. Siamo negli anni del neorealismo e anche questa commedia estranea ai temi civili racconta la vita di personaggi che appartengono al ceto sociale più povero e si muovono nei quartieri popolari. In una sequenza rappresentativa di questo neorealismo rosa, Renato Salvatori-Giulio aspetta la fidanzata Maria Fiore-Sandra sul ponticello in via del Pigneto 227. L’idea della pellicola nasce da un radiodramma scritto da Vasco Pratolini e Giandomenico Giagni e trasmesso dalla Rai nel 1952 con la regia di Anton Giulio Majano, che decide di farne un film, raccontando con sguardo affettuoso la “buona gente” del dopoguerra, i loro sogni, gli amori, le delusioni. Il nutrito cast è formato da attori all’epoca semisconosciuti, poi protagonisti del cinema italiano: oltre a quelli già citati figurano Sophia Loren, Nino Manfredi, Riccardo Cucciolla, Fiorenzo Fiorentini, Ave Ninchi, Memmo Carotenuto, Gigi Reder e Alberto Talegalli. La radiocronaca ha la voce di Nando Martellini, che annuncia la vittoria della Roma 5-2. Colonna sonora del grande Nino Rota.
NELLE VICINANZE
In piazza del Pigneto 10 si trova l’osteria frequentata da Pietro Germi nel capolavoro da lui diretto Il ferroviere (1956), definito dallo stesso regista “un film fatto per gente all’antica, col risvolto dei pantaloni”. Nella stessa piazza, al civico 15 ha sede il commissariato dove viene portato il figlio del protagonista.
9. Via Corfinio (Appio-Latino)
VIA CORFINIO: SOTTO IL SOLE DI ROMA DI RENATO CASTELLANI (1948)
IL LUOGO
L’Appio-Latino era considerato, prima dell’avvento di Cinecittà, il quartiere del cinema. In via Veio avevano sede gli stabilimenti della Cines, fondata nel 1906, mentre sulla circonvallazione Appia quelli della Scalera Film, nata nel 1938. Molte erano anche le sale cinematografiche e teatrali. Quartiere popolare che nel corso degli anni ha avuto un forte sviluppo economico e culturale, nel periodo fascista è stato punto di riferimento della lotta partigiana, come dimostrano le numerose lapidi e pietre d’inciampo dedicate ai martiri della Resistenza che risiedevano in queste vie. Oggi è un quartiere multietnico, aperto all’accoglienza e all’integrazione. Da segnalare il Parco Archeologico dell’Appia Antica, il più grande d’Europa, la Tomba di Cecilia Metella e la chiesa Domine Quo Vadis.
LA STORIA
Per comporre un quadro significativo della vita popolare nella Roma sconquassata dalla guerra, Renato Castellani ambienta l’intero film nella zona intorno alla Basilica di San Giovanni in Laterano (che si scorge sullo sfondo in varie scene) e sceglie di far abitare il giovane protagonista in via Corfinio 12. Si chiama Ciro Bissolati ed è un diciassettenne che passa le giornate con gli amici nelle vie del quartiere o a tuffarsi nella marana, tra piazzale Appio, via Magnagrecia, via di Porta Maggiore, via Ivrea. Oscar Blando, che lo impersona, è anche lui un ragazzo di strada, come gli altri interpreti del film, tutti non professionisti a eccezione di Alberto Sordi, agli esordi nel cinema ma già abile nel delineare col commesso Fernando il tipo umano furbastro e maligno che lo renderà famoso. La vicenda attraversa l’occupazione, l’armistizio e l’immediato dopoguerra per raccontare come in quel tragico periodo gli adolescenti sono dovuti crescere in fretta e quanto per loro sia stato brusco e doloroso il passaggio all’età adulta. Primo capitolo di quella che Castellani chiamò La trilogia della povera gente (seguiranno È primavera… nel 1950 e Due soldi di speranza nel 1952), il film, scritto da Fausto Tozzi, Sergio Amidei, Emilio Cecchi, Ettore Maria Margadonna e lo stesso Castellani, vinse tre premi alla Mostra del Cinema di Venezia e rimane uno dei frutti più fertili del Neorealismo. Contiene, infatti, tracce di quella ironia scanzonata da cui nascerà la commedia all’italiana (come testimonia la presenza di Sordi), ma anche i germi di una rappresentazione dei poveri meno edulcorata di quella zavattiniana che anticipa la crudezza e la sporcizia con le quali Pier Paolo Pasolini racconta i giovani borgatari di Accattone.
NELLE VICINANZE
In via Pozzuoli 7 ha abitato fino all’età di 33 anni Nino Manfredi (1921-2004). All’epoca lì vicino, ricorda Manfredi, “c’era il cinema teatro Arena Italia, detto ‘er pidocchietto’ dove ebbi i miei primi contatti con il cinema e il teatro, Tom Mix, i fratelli Martana e il Fanfulla. Quando si aveva più soldi si andava al teatro Appio o al Massimo, dove ho conosciuto Aldo Fabrizi e dove vidi il mio primo film sonoro”.
10.Via Ostiense (Ostiense)
VIA OSTIENSE: BELLISSIMA DI LUCHINO VISCONTI (1951)
IL LUOGO
L’Ostiense è una delle vie più antiche di Roma, che collega la città alla foce (in latino ostium) del Tevere. La caratterizzano la Piramide Cestia, la basilica di San Paolo e l’inconfondibile sagoma del Gazometro. L’impronta industriale, con fabbriche e officine, ha popolato il quartiere di operai e ristoranti, il più storico dei quali è “Al biondo Tevere”. Aperto dal 1915 e frequentato da intellettuali e artisti, come testimoniano le targhe con gli autografi e gli articoli di giornale appesi alle pareti, si trova al civico 178. Qui la sera del primo novembre 1975 Pier Paolo Pasolini cenò con Pino Pelosi, per poi proseguire verso l’Idroscalo di Ostia, dove fu ucciso.
LA STORIA
Nel capolavoro girato da Luchino Visconti nel 1952, la trattoria “Biondo Tevere” appartiene alla suocera della protagonista Anna Magnani, una Maddalena guardarobiera, moglie di un ferroviere, che spasima perché la figlia di sei anni venga scritturata come attrice in un film del regista Alessandro Blasetti. È in questa trattoria che la donna ospita Walter Chiari, nel ruolo di Alberto Annovazzi, ispettore di produzione che potrebbe aiutare la bambina ai provini. I due pranzano nella bella terrazza affacciata sul fiume e nelle inquadrature si vedono la basilica di San Paolo, il Gazometro e l’ansa del Tevere verso ponte Marconi. Scritto da Cesare Zavattini e sceneggiato da Suso Cecchi D’Amico, Francesco Rosi e lo stesso regista, il film segna il passaggio dalla rappresentazione dolente dell’immediato dopoguerra al desiderio di emanciparsi degli italiani di allora, dalla solidarietà corale all’esigenza individuale di emergere sugli altri. Segna la fine del neorealismo per la tecnica naturale di registrare la società in diretta, è anche il primo film di Visconti che supera il neorealismo per anticipare profeticamente i rischi generati dal mito del cinema, ritratto come un mondo cinico e amorale, una fabbrica dei sogni disseminata di trappole. Chiamando a recitare nel ruolo di loro stessi i registi Blasetti e D’Amico, il presentatore Corrado e lo scenografo Chiari, Visconti mette in scena la realtà artificiale dello spettacolo e sferza l’ambizione delle mamme che vedono nella realizzazione delle figlie come dive il riscatto delle loro frustrazioni. L’idea nasce da un’esperienza di Blasetti che, durante i provini per il ruolo della bambina nel film Prima comunione, venne tormentato da una mamma che insisteva per imporgli la figlia perché “bellissima”.
NELLE VICINANZE
La Stazione Ostiense, nel piazzale dei Partigiani, è stata il set di moltissimi film dei generi più disparati: dalle pellicole con Totò dirette da Sergio Corbucci, come Chi si ferma è perduto (1960) e Che fine ha fatto Totò Baby? (1964), a Il ferroviere di Germi fino alla serie dei Fantozzi con Paolo Villaggio. In Il colonnello Von Ryan (1965) di Mark Robson, interpretato da Frank Sinatra e Raffaella Carrà, si finge che sia la stazione di Firenze.
(Testi a cura di Fabio Canessa, podcast a cura di Alessandra Accardo)
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