Ugo Fantozzi (Villaggio) tra la moglie Pina (Liù Bosisio, a sinistra) e la figlia Mariangela (Plinio Fernando, a destra) sul set di Fantozzi (1975) di Luciano Salce.
Partiamo dal quartiere Nomentano, sulle orme di Ettore Scola fino a raggiungere via Giuseppe Marchi per ammirare l’opera di Paolo Portoghesi diventata la villa del Macellaio in Dramma della gelosia. Ci spostiamo verso il centro e raggiungiamo piazza del Popolo, set del celebre inizio di un altro film di Scola C’eravamo tanto amati: qui Nino Manfredi incontra il vecchio amico Vittorio Gassman e lo scambia per un parcheggiatore.
Attraversiamo il Tevere: in via Virgilio Orsini c’è il Villino Cagiati, sede della casa di piacere di Bordella, pellicola diretta dal Pupi Avati più grottesco.
Spostiamoci ora in via dei Coronari, attraversata in autobus dall’Innamorato pazzo Adriano Celentano tra le proteste dei passanti, e in piazza d’Ara Coeli, di fronte al Campidoglio, dove c’è il bar di Catherine Spaak frequentato da Gigi Proietti alias Mandrake nello stracult Febbre da cavallo di Steno. Da lì ci trasferiamo a Trastevere: nel film omonimo diretto da Fausto Tozzi, Nino Manfredi suona il campanello dell’appartamento di Rosanna Schiaffino in via della Fonte d’Olio. Dal terrazzo proprio sopra la sua testa, dieci anni dopo si affaccerà Carlo Verdone in Un sacco bello.
Passiamo ora in via di San Domenico, dove c’è la casa di Fellini dalla quale, all’inizio del film, cade addosso a Renzo Arbore il copione di FF.SS. E subito dopo attraversiamo Lungotevere degli Artigiani, lungo il quale il giudice Ugo Tognazzi scopre la verità sulla morte di una ragazza leggendone il diario, nel profetico In nome del popolo italiano di Dino Risi. Per chiudere il nostro percorso bisogna spingersi fino al Palazzo della Regione Lazio di via Cristoforo Colombo, luogo di culto in quanto sede della megaditta del ragionier Fantozzi nell’omonimo film di Luciano Salce.
1. Via Giuseppe Marchi (Nomentano)
CASA PAPANICE: DRAMMA DELLA GELOSIA: TUTTI I PARTICOLARI IN CRONACA DI ETTORE SCOLA (1970)
IL LUOGO
La strada è caratterizzata da un villino colorato, oggi sede dell’Ambasciata della Giordania. Si chiama Casa Papanice, dal nome dell’imprenditore edile pugliese che la commissionò nel 1966 a Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti, edificata nel 1969. “Casa Papanice fu un atto di protesta”, scrive Portoghesi, “contro il grigiore delle palazzine moderne, che sorgevano una accanto all’altra, come una catena, a chiudere e neutralizzare lo spazio delle strade. Attraverso il suo rivestimento di maiolica, l’edificio dialogava con la luce del cielo e il verde degli alberi, che furono conservati gelosamente al loro posto”. Una residenza signorile a tre piani con un piccolo attico che ha le radici nel Barocco romano, privilegia le linee curve ed è integrato con suggestioni Art Déco. I parapetti dei balconi sono realizzati con canne d’organo in metallo.
LA STORIA
“Ma che so tutte ’ste canne?”, chiede stralunata Monica Vitti al proprietario di Casa Papanice, un macellaio con il quale si è fidanzata. “Nun so’ canne, è ’na precisa qualificazione geometrica, così ce stava scritto sul progetto della casa”, risponde il burino arricchito Amleto Di Meo, interpretato da Hercules Cortes, un wrestler spagnolo prestato al cinema.
Lei è Adelaide Ciafrocchi, fioraia al cimitero del Verano, contesa tra il muratore comunista Marcello Mastroianni e il pizzaiolo fiorentino Giancarlo Giannini. Per uscire dal dilemma, è tentata da un matrimonio di convenienza con il rozzo macellaio pieno di soldi che ha acquistato questo avveniristico villino postmoderno.
La presenza di architetture romane degli anni Cinquanta e Sessanta in molto cinema italiano ha un notevole significato come memoria storica e documentazione dello stato di edifici che oggi, per trascuratezza e indifferenza, rischiano di sopravvivere solo nei film. È anche il caso di Casa Papanice, finora mai restaurata, nonostante richieste e progetti dello stesso Portoghesi, anzi in parte smantellata con smontaggio di alcune strutture. Ettore Scola è un regista molto attento all’architettura e alle scenografie, come dimostra in questa commedia amara dalla comicità travolgente e dal finale tragico, secondo l’aurea ricetta della ditta Age e Scarpelli: mentre i luoghi abitati dai poveracci protagonisti, il Testaccio, Ostia, i mercati generali, risultano affetti da un degrado che rispecchia una società incurante degli ultimi, la bella Casa Papanice diventa l’acquisto grottesco e paradossale di un imprenditore ignorante e volgare.
Da segnalare la fotografia più da dramma che da commedia di Carlo De Palma e la ispirata colonna sonora di Armando Trovajoli.
NELLE VICINANZE
A pochi passi da via Marchi, in via Antonio Bosio 15 una targa ricorda che in quella casa visse e morì Luigi Pirandello (1867-1936). Lo scrittore e drammaturgo premio Nobel scrisse molte sceneggiature per film. Vedeva nel cinema lo spettacolo del futuro, come scrive a Marta Abba, sua musa e grande interprete, nel 1930: “L’avvenire dell’arte drammatica e anche degli scrittori di teatro è adesso là. Bisogna orientarsi verso una nuova espressione d’arte: il film parlato. Ero contrario, mi sono ricreduto”.
2. Piazza del Popolo (Campo Marzio)
PIAZZA DEL POPOLO: C’ERAVAMO TANTO AMATI DI ETTORE SCOLA (1974)
IL LUOGO
Tra le piazze più famose di Roma, confluiscono in essa tre strade importanti del centro: via di Ripetta, via del Corso e via del Babuino. È caratterizzata dalla basilica da cui la piazza prende il nome e dall’obelisco egizio centrale, alto 24 metri, collocato nel 10 a.C. nel Circo Massimo e trasportato qui nel 1589. Vi si trovano anche le chiese gemelle di Santa Maria dei Miracoli e Santa Maria in Montesanto. Il rione è chiamato Campo Marzio perché, secondo la tradizione, Romolo dedicò quest’area al dio Marte.
LA STORIA
Nino Manfredi e Vittorio Gassman si incontrano in piazza del Popolo. Sono stati partigiani insieme durante la Resistenza, hanno vissuto una lunga amicizia negli anni del dopoguerra e poi si sono persi di vista. Ora Antonio (Manfredi) sorprende Gianni (Gassman) in maniche di camicia intento a spostare una macchina in doppia fila (nel 1974 la piazza era ancora trafficabile) e si commuove pensando si sia ridotto a fare il parcheggiatore abusivo.
La rimpatriata è l’occasione per un bilancio malinconico della generazione che ha liberato l’Italia dalla dittatura: anche Antonio, portantino all’ospedale, non se la passa bene. In realtà Gianni, che in gioventù aveva soffiato all’amico la fidanzata Luciana, si era arricchito sposando la figlia di un palazzinaro corrotto, tradendo gli ideali e i valori che lo legavano ai suoi compagni di guerra. E in piazza del Popolo stava solo dandosi da fare per liberare la propria auto, impossibilitata a uscire dal parcheggio.
Vertice della migliore commedia all’italiana, è il capolavoro di Ettore Scola: uno dei frutti più maturi del nostro cinema, dalla buccia colorata ma dal nocciolo amaro. Un affresco corale sulla storia italiana del Novecento, scritto in maniera ispirata da Age e Scarpelli, insieme al regista, e interpretato da un cast stellare: oltre a Manfredi e Gassman, Stefania Sandrelli, Giovanna Ralli, Aldo ed Elena Fabrizi, Stefano Satta Flores, Isa Barzizza, con camei di lusso di Marcello Mastroianni, Federico Fellini, Mike Bongiorno e Vittorio De Sica, nella sua ultima apparizione cinematografica. Una fusione perfetta di temi politici ed esistenziali, sentimentali e sociali, culturali e sociologici, compresi gli omaggi a La dolce vita (1960) e Lascia o raddoppia? (1956).
NELLE VICINANZE
In via Margutta abitò Anna Magnani (1908-1973) insieme al marito, il regista Goffredo Alessandrini (1904-1978). Icona femminile della romanità, è stata una delle attrici più importanti della storia del cinema italiano, protagonista di capolavori di Rossellini, Visconti, Pasolini, vincitrice del Premio Oscar nel 1956.
3. Via Virginio Orsini (Prati)
VILLINO CAGIATI: BORDELLA DI PUPI AVATI (1976)
IL LUOGO
Costruito da Garibaldi Burba nel 1902 per Giulio Cagiati, il villino, situato nell’atmosfera tranquilla del quartiere Prati, è uno degli esempi più originali di architettura liberty, ma in una versione eclettica di stile neoromanico. All’incrocio tra via dei Gracchi e via Orsini, è un corpo quadrangolare sormontato da una torre quadrata, con la facciata occupata da monofore, bifore e trifore: contiene affreschi di ispirazione botticelliana del pittore Silvio Galimberti, maioliche policrome con fiori e frutti di Galileo Chini e lavori in ferro battuto a forma di tralci di vite di Alessandro Mazzuccotelli. L’ardita mescolanza modernista di Art Nouveau e Medioevo sembra trovare un monito nelle frasi dall’Ars poetica di Orazio in cima alla torretta che, negli anni Settanta, era l’abitazione dell’attore Tomas Milian: “In arte libertas” e “in vitium ducit” (si caret arte).
LA STORIA
Una multinazionale americana apre in Italia un bordello per donne e la sede è il villino Cagiati, che nel film non si trova nel borghese rione di Prati, ma a Milano: dunque una Roma così internazionale da poter passare per un viale milanese e un’architettura liberty che assomiglia a esempi analoghi di tipo lombardo. Ma è singolare che l’originale Villino Cagiati sia l’ambientazione del film più originale, bizzarro ed estremo di Pupi Avati.
Datata 1976, ma di evidente ispirazione sessantottina, quella che auspicava l’immaginazione al potere, la commedia è un fuoco d’artificio di trovate surreali e politicamente scorrette, portate all’eccesso da un gusto della provocazione di matrice politica (percepita allora come antiamericana e anticlericale) che porterà al sequestro del film, a un processo celebrato a Latina e alla condanna del regista, degli sceneggiatori Antonio Avati, Maurizio Costanzo e Gianni Cavina, del produttore Gianni Minervini e degli attori protagonisti Luigi Proietti e Christian De Sica con l’accusa di oscenità e oltraggio al pudore.
Frutto del piacere dell’epoca di scandalizzare i borghesi, andare controcorrente e divertirsi spensieratamente della propria mancanza di senso della misura, è un’opera lunare e ardita che fa della trasgressione la propria bandiera e per questo raggiunge gli obiettivi di suscitare l’indignazione dell’ambasciata statunitense, spiazzare la critica e sconcertare il pubblico. Anche il cast è un guazzabuglio eterogeneo italoamericano: oltre a Proietti e De Sica ci sono Vincent Gardenia e Al Lettieri, reduce da Il padrino (1972). Per la prima romana al cinema Rivoli un annuncio dichiara che le prime dieci donne che si fossero presentate nude alla cassa della sala avrebbero avuto l’ingresso gratuito.
NELLE VICINANZE
In via dei Gracchi 260 il Profondo Rosso Store, aperto da Dario Argento nel 1989, è un negozio specializzato nell’oggettistica horror: ci troverete i dvd e blu-ray dell’intera filmografia dell’orrore e della fantascienza, maschere e costumi di Carnevale da Dracula a Frankenstein, dall’Uomo Lupo a Freddy Krueger, libri in inglese e in italiano di ogni genere di ambito fantastico, gadget curiosi di stile gotico e macabro. Nei sotterranei della “piccola bottega degli orrori” c’è l’imperdibile Museo degli Orrori di Dario Argento, con le scenografie ricostruite dei capolavori del maestro del brivido.
4. Via dei Coronari (Ponte)
VIA DEI CORONARI: INNAMORATO PAZZO DI CASTELLANO E PIPOLO (1981)
IL LUOGO
È l’unica via italiana inserita dalla rivista statunitense Architectural Digest tra le dieci strade più belle del mondo. Il nome deriva dai venditori di corone da rosario che caratterizzavano il percorso dei pellegrini diretti a San Pietro, ma la sua origine risale al Medioevo, quando si chiamava via Recta. Lunga poco più di mezzo chilometro, ha il singolare privilegio di mostrare la straordinaria compresenza del Medioevo, rappresentato dai vicoli, del Rinascimento, epoca alla quale risalgono la maggior parte dei suoi palazzi e il Barocco, evidente nello stile dei portoni, dei balconi e delle edicole. Oggi è la via degli antiquari: la strada che stratifica le varie epoche, riuscendo ad amalgamarle con incantevole suggestione, è finita per diventare l’indirizzo a cui ci si rivolge per cercare gli oggetti che racchiudono l’anima del passato.
LA STORIA
“Adesso passiamo per i Coronari, la via degli antiquari: è un po’ stretta, ma vedrai che ci passiamo”. Così il conducente di autobus Cecchini Barnaba, interpretato da Adriano Celentano, dice alla principessa Cristina, una Ornella Muti al massimo della sua bellezza, che gli ha chiesto di farle visitare Roma. Ma l’autobus attraversa con difficoltà via dei Coronari, mentre i negozianti si precipitano a togliere tavoli e sedie di antiquariato in mostra in mezzo alla strada, finché un tizio con un ape carico di televisori, speronato dal pullman, dà dello “stronzo” all’autista innamorato.
Ispirata a Vacanze romane (1953), la commedia, scritta e diretta da Castellano e Pipolo, una coppia di sceneggiatori che ha attraversato la storia del cinema italiano, è un incasso record del box office nostrano (oltre 12 miliardi di lire nel 1981). L’idea è quella di confezionare, con la famiglia reale dell’immaginario Saint Tulipe, una parodia del Principato di Monaco: Adolfo Celi e Milla Sannoner ricalcano il Principe Ranieri e Grace Kelly, mentre Ornella Muti rimanda a Carolina.
La collaudata professionalità dei registi, autori di memorabili opere di Salce, Risi, Comencini, Steno e Festa Campanile, punta su una ricetta vincente: l’estro surreale di Celentano, la bellezza della Muti, una schiera di buffi caratteristi (Tiberio Murgia, Jimmy il Fenomeno), un classico canovaccio sull’amore diviso dalla differenza di classe e molte citazioni cinefile, che vanno dalla love story tra Gregory Peck e Audrey Hepburn (stavolta l’autobus dell’Atac sostituisce la Vespa) al Peter Sellers di Oltre il giardino (1980), dove l’ignoranza di un candido sprovveduto viene scambiata per saggezza filosofica. Il tutto sullo sfondo di una Roma turistica molto accattivante.
NELLE VICINANZE
L’antiquario della bottega in via dei Coronari 29 è la vittima di una truffa architettata da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nel film di Lucio Fulci Gli imbroglioni (1963). Nel cast eterogeneo anche Raimondo Vianello, Walter Chiari, Giorgio Gaber, Aroldo Tieri, Mario Scaccia e Oreste Lionello.
5. Piazza d’Aracoeli (Campitelli)
PIAZZA D’ARACOELI: FEBBRE DA CAVALLO DI STENO (1976)
IL LUOGO
Chiamata in passato “piazza del Mercato”, perché vi si trasferì il mercato situato sulla rocca del Campidoglio, è il luogo in cui nel Medioevo Cola di Rienzo arringa la folla, San Bernardino da Siena predica e Ignazio di Loyola apre la sua prima scuola. Nel 1589 viene realizzata la fontana, progettata da Giacomo Della Porta, il quale nel medesimo periodo ristruttura Palazzo Fani Pecci Blunt (al civico 3 della piazza), abitato dal cardinale Borromeo, dalle famiglie Spada e Ruspoli. Anche Palazzo Muti Bussi e Palazzo Massimo di Rignano Colonna si affacciano sulla piazza, che oggi prende il nome dalla chiesa di Santa Maria in Aracoeli, costruita in cima alla scalinata al posto dell’antico tempio di Giunone Moneta. Dal 1927 la piazza viene notevolmente ridotta per fare spazio a via del Teatro di Marcello (all’inizio denominata via del Mare).
LA STORIA
Il Gran Caffè Roma al civico 4 è il bar di Gabriella, fidanzata di Bruno Fioretti, detto Mandrake. Lei è Catherine Spaak, lui è Luigi Proietti nel ruolo di un aspirante attore squattrinato con la passione delle scommesse sui cavalli. Nel bar sulla piazza passa le giornate con gli amici, tra i quali spicca ‘Er Pomata’ Enrico Montesano, a escogitare il modo di raggranellare soldi per puntare sui cavalli all’ippodromo Tor di Valle. È Gabriella, dopo aver consultato una cartomante, a suggerire al fidanzato un tris vincente di apparenti brocchi, ma lui all’ultimo momento si fa convincere a puntare su un altro cavallo e perde tutto. Da qui prende il via una girandola di gag irresistibili che hanno fatto diventare questa commedia un film di culto.
Nato come un soggetto di impegno civile, scritto da Massimo Patrizi, che doveva denunciare la piaga della ludopatia, diventa con la sceneggiatura di Alfredo Giannetti, Steno e il figlio Enrico Vanzina, un esempio tra i più riusciti di commedia all’italiana: una storia corale radicata nel popolo, con un gruppo di protagonisti poveracci come I soliti ignoti o L’armata Brancaleone, il contorno di una legione di caratteristi di lusso (Ennio Antonelli ‘Manzotin’, il giudice Adolfo Celi, Marina Confalone, Nerina Montagnani, il conte Gigi Ballista, Mario Carotenuto, Francesco De Rosa) e una freschezza di scrittura che si riflette nella vivacità della messinscena. Ma soprattutto è un monumento scanzonato alla romanità popolare, girato in gran parte tra piazza d’Aracoeli e piazza Margana. Al film, che vanta il record di passaggi televisivi, è dedicato un saggio di Alberto Pallotta e molti siti web. Nel 2002 è uscito il sequel La Mandrakata di Carlo Vanzina, sempre con Proietti e Montesano.
NELLE VICINANZE
È il 14 luglio 1948: Alberto Sordi e Lea Massari si sono appena sposati in municipio quando all’uscita in piazza del Campidoglio vengono sorpresi dalla notizia dell’attentato a Togliatti e la folla scende in massa dalla scalinata per andare a manifestare. È una celebre sequenza di Una vita difficile (1961) di Dino Risi, uno dei capolavori del nostro cinema.
6.Via della Fonte d’Olio (Trastevere)
VIA DELLA FONTE D’OLIO: TRASTEVERE DI FAUSTO TOZZI (1971)
IL LUOGO
La via prende il nome dalla tradizione religiosa più antica di Trastevere. San Girolamo racconta che qui nel 38 a.C. era sgorgata una fonte di olio: il miracolo presagiva l’avvento del Cristianesimo. La prodigiosa fontana era nata all’interno della Taberna Meritoria, ospizio con taverna per i veterani di guerra che l’imperatore Alessandro Severo assegna ai cristiani, che lo trasformano in oratorio e poi nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. All’interno di essa è ancora oggi indicato il punto di origine della Fons Olei.
LA STORIA
Nino Manfredi in versione fricchettone hippy suona il campanello di via della Fonte d’Olio 5: è un pittore psichedelico senza arte né parte che insiste per introdursi in casa di Rosanna Schiaffino, una Rama affascinante figlia dei fiori, snob e sciroccata, che ha organizzato un droga party. Lui è in realtà il brigadiere Carmelo Mazzullo, partito per indagare sotto copertura e finito tossicodipendente, lei si chiama Caterina Peretti ed è una povera ragazza di paese.
L’intero film è un monumento a Trastevere, anzi un requiem per quello che questo rione è stato prima dell’invasione dei turisti e degli americani: un concentrato di umanità verace, degradata ma vitale, di cui l’attore Fausto Tozzi, qui regista per la prima e ultima volta, squaderna un campionario memorabile. Dal protettore di prostitute vedovo al professore pervertito che spinge la moglie ad andare col macellaio, da un conte gay che si porta a casa un ragazzo americano a un prete che organizza pellegrinaggi.
Si tratta di un’opera insolita, troppo in anticipo sui tempi per essere compresa nel 1971: oggi va rivalutata per la spassosa sgradevolezza con cui traccia un affresco del quartiere trasteverino, facendone il microcosmo dell’intera Roma, della quale la sora Regina, anziana contrabbandiera di sigarette e genius loci del rione, costituisce l’anima più profonda. Dai titoli di testa sul Tevere visto dall’isola Tiberina fino al funerale finale della sora Regina, la macchina da presa scandaglia piazza Santa Maria in Trastevere e tutti i vicoli attigui: del Cinque, del Cedro, del Leopardo, del Mattonato. A volte aleggiano gli spiriti di Fellini e di Pasolini, ma questa tragicommedia grottesca intrisa di romanità è un unicum di culto nel panorama del nostro cinema.
NELLE VICINANZE
Una nicchia del civico 45 di via della Pelliccia contiene un busto di bronzo che ritrae Anna Magnani (1908-1973), opera dello scultore Gianluca Bagliani. Inaugurato il 25 ottobre 2019, il monumento è accompagnato dalla scritta “A Mamma Roma”, a sottolineare la romanità verace di cui la grande attrice è icona e il titolo del film da lei girato con Pier Paolo Pasolini.
7. Via della Fonte d’Olio (Trastevere)
VIA DELLA FONTE D’OLIO: UN SACCO BELLO DI CARLO VERDONE (1980)
IL LUOGO
Situata tra via della Pelliccia e piazza Santa Maria in Trastevere, la via risale al 1931, quando viene scorporata dal vicolo del Piede. Prenderebbe il nome, secondo alcuni studiosi, non dalla tradizione risalente a San Girolamo sulla fonte miracolosa, ma da una fontana che riceveva l’acqua proveniente dai condotti dell’Aqua Alsietina, proveniente dal lago di Martignano e oleosa, non potabile. Altri storici sostengono invece che l’acqua inquinata dall’olio sarebbe quella delle naumachie che si svolgevano in questa zona.
LA STORIA
In via della Fonte d’Olio comincia la carriera di Carlo Verdone: qui abita il candido Leo Nuvolone, personaggio con il quale esordisce nella trasmissione televisiva Non stop e che poi trasferisce sul grande schermo in questo primo film da regista e attore. Siamo a Ferragosto e il giovane dovrebbe raggiungere la mamma al mare di Ladispoli, ma incontra Marisol (Veronica Miriel), una ragazza spagnola che alloggia nell’ostello sotto casa, al civico 6 della medesima via della Fonte d’Olio (oggi è il ristorante cinese Ci Lin). Ma siccome all’ostello non c’è posto, la ospiterà a casa sua e durante la cena, nella terrazza affacciata su piazza Santa Maria in Trastevere, farà irruzione il fidanzato di lei. Sarà poi un’inquadratura sulla vicina via Garibaldi a concludere sui titoli di coda la disavventura sentimentale del goffo giovanotto.
L’esordio di Verdone che, oltre a Leo, interpreta altri cinque personaggi, nasce con la garanzia e la protezione di un team stellare: come produttore il grande Sergio Leone, la sceneggiatura affidata alla coppia Leo Benvenuti e Piero De Bernardi e la memorabile colonna sonora del maestro Ennio Morricone, che riesce a sprigionare quella dolce, indolente malinconia trasteverina allora appena avvertibile nella girandola delle buffe macchiette e che Verdone renderà in seguito sempre più evidente. Uno spartiacque nel nostro cinema, datato significativamente 1980, che chiude la gloriosa stagione della commedia all’italiana e inaugura una nuova generazione di mattatori: oltre a Verdone, Roberto Benigni, Massimo Troisi, Nanni Moretti, Maurizio Nichetti, Francesco Nuti. Oggi ci appaiono molto differenti tra loro, all’epoca assimilati come i registi-attori della new wave.
NELLE VICINANZE
In piazza dei Mercanti 30 c’è ancora il ristorante Meo Patacca dove Pier Paolo Pasolini girò Mamma Roma (1962), nel quale il protagonista Ettore Garofalo lavora come cameriere della storica trattoria trasteverina.
8. Piazza Giunone Regina (Ripa)
PIAZZA GIUNONE REGINA: FFSS DI RENZO ARBORE (1983)
IL LUOGO
La ruota di un timone bianco su sfondo rosso è lo stemma del rione Ripa, che già nel nome richiama la riva del Tevere e il porto di Ripa Grande, scomparso da tempo. Era la zona portuale della città, che racchiude i resti della Roma arcaica, come Sant’Omobono, la Valle del Velabro dove, secondo la leggenda, si fermò la cesta che conteneva Romolo e Remo, e il Circo Massimo, la più antica costruzione per giochi e spettacoli. La Basilica di Santa Sabina all’Aventino, risalente al ’400, è la chiesa paleocristiana meglio conservata.
LA STORIA
Renzo Arbore e Luciano De Crescenzo attraversano in auto il rione Ripa e si stupiscono di trovare un semaforo (che infatti nella realtà non c’è) nella tranquilla e poco trafficata via San Domenico, di fronte a piazza Giunone Regina. Da una finestra il vento fa volare sulla loro macchina i fogli di una sceneggiatura firmata Federico Fellini, “Federico Fellini Sud Story”, di cui i due si impadroniscono mentre il rosso del semaforo comincia a bollire: è il sangue di San Gennaro che ha miracolato la coppia di cineasti in cerca di un soggetto. Trasferendo l’abitazione di Fellini da via Margutta all’angolo tra la piazza e via San Domenico, il film inizia una scatenata parodia-omaggio al cinema del maestro: dal repertorio di facce presentate da Riccardo Pazzaglia allo “sceicco beige” Roberto Benigni. Il titolo completo è FFSS cioè: che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene? ed è un raro esempio di musical italiano, nello stile di una folle sarabanda alla Helzapoppin. Protagonista è Pietra Montecorvino (Lucia Canaria), una giovane napoletana addetta alla pulizia dei bagni pubblici, ma dotata di una voce straordinaria, che un manager cialtrone riuscirà a far cantare a Sanremo. Dopo il successo di Il pap’occhio (1980), Arbore gira con felice libertà creativa un originalissimo guazzabuglio speziato da ogni genere di umorismo, da quello di pancia da avanspettacolo a quello sofisticato e surreale. Il cast nutrito ed eterogeneo mette insieme Gigi Proietti e Massimo Troisi, Mario Marenco e Nino Frassica, Gianni Boncompagni e Domenico Modugno, perfino Renato Guttuso e Severino Gazzelloni. Gag irresistibili come il gramelot di Proietti o il disgustoso Massimo Cloaca di Cesare Gigli ne fanno il Monty Python italiano.
NELLE VICINANZE
In cima al colle Aventino, a due passi dal Giardino degli Aranci, ha vissuto fino alla sua morte Nino Manfredi (1921-2004). Per questo al grande attore, regista e cantante è stato dedicato qui il viale Nino Manfredi. Poco più avanti c’è il Belvedere Luigi Magni (1928-2013), in omaggio al regista con il quale Manfredi ha girato numerosi successi, spesso ambientati proprio sull’Aventino.
9.Lungotevere degli Artigiani (Portuense)
LUNGOTEVERE DEGLI ARTIGIANI: IN NOME DEL POPOLO ITALIANO DI DINO RISI (1971)
IL LUOGO
Il nome deriva dalla corporazione degli artigiani, una delle associazioni delle arti e dei mestieri della Roma comunale. Questo tratto di lungotevere collega ponte Testaccio a via Antonio Pacinotti e passa sotto il cavalcavia del Ponte della Ferrovia, accanto al Ponte dell’Industria. Il rione univa la città allo scalo marittimo di Porto, dove gli scavi archeologici hanno trovato le tracce del complesso degli Arvali, sacerdoti dediti alle divinità agricole. Oltre al mercato di Porta Portese, oggi il quartiere ruota intorno a viale Marconi.
LA STORIA
Un assorto Ugo Tognazzi, nel ruolo del giudice integerrimo Bonifazi, percorre lentamente il lungotevere degli Artigiani immerso nella lettura del diario della ragazza sulla cui morte sta indagando. Ha appena incriminato per quell’omicidio Vittorio Gassman, lo spregiudicato imprenditore Santenocito che ricorda il Bruno Cortona di Il sorpasso (1962), ulteriormente incanaglito.
È il finale del film, quello che rivelerà la soluzione del giallo. Il lungotevere è deserto, perché tutti stanno guardando alla tv la partita della nazionale contro l’Inghilterra e la vittoria dell’Italia scatenerà un tripudio di chiassosi festeggiamenti nei quali il giudice vedrà riflesso il volgare decadimento della società.
Scritta da Age e Scarpelli nel periodo d’oro della commedia all’italiana, è una delle opere migliori di Dino Risi, dominata da due magnifici attori in stato di grazia che interpretano due tipi antropologici italianissimi e opposti, avversari inconciliabili di un’Italia peggiorata rispetto a quella dell’immediato dopoguerra, anticipatori della futura Tangentopoli. La metafora iniziale del crollo del Palazzo di Giustizia romano (quello che avrebbe visto i girotondi), la location della spiaggia (teatro di tante spensierate commedie all’epoca del boom economico, qui ridotta a un panorama squallido, inquinato e piovoso per registrare il passaggio dalla gioia al vuoto interiore, dal benessere al malessere), il ruolo delicato di una giustizia a metà tra condanna penale e morale sono solo alcuni dei numerosi spunti di riflessione che suscita questa tragicommedia gialla, comica e serissima, ambigua come ogni vera opera d’arte, non a tesi né manichea, con uno sguardo disincantato e profondamente pessimista sull’Italia e sul mondo.
NELLE VICINANZE
Marisa la civetta (1957) di Mauro Bolognini racconta la storia di una ragazza, Marisa Allasio, che vende bibite alla stazione ferroviaria di Civitavecchia. Ma in realtà la stazione in cui il film è ambientato e dove la protagonista vive e lavora è quella di Roma Trastevere; una sequenza è girata sul cavalcavia di via Portuense.
10. Via Cristoforo Colombo, 212 (Garbatella)
PALAZZO DELLA REGIONE LAZIO: FANTOZZI DI LUCIANO SALCE (1975)
IL LUOGO
Via Cristoforo Colombo è la strada più lunga (28 Km) e più larga di Roma. Progettata nel 1937 con il nome di via Imperiale, per collegare la città all’Eur per poi proseguire fino al mare, viene realizzata tra il 1952 e il 1954. Il grande palazzo al civico 212, dalla caratteristica forma semicircolare in vetro, doveva diventare un ospedale e come tale viene costruito, poi si pensa di farne la sede dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie, infine sarà la sede del Consiglio e della giunta regionale del Lazio.
LA STORIA
Il Palazzo della Regione Lazio è rimasto nell’immaginario degli italiani per essere la sede della ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica, la megaditta di cui è dipendente, con la matricola 7820/8 bis, il ragionier Ugo Fantozzi, cioè la versione parodisticamente esagerata dell’azienda Italsider di Genova nella quale Paolo Villaggio aveva lavorato come impiegato. Viene girata all’interno e all’esterno di questo palazzo gran parte del capostipite della saga più longeva del cinema italiano: dai dieci libri scritti da Villaggio saranno tratti dieci film nell’arco di 25 anni, dal 1975 al 2000.
La regia affidata al veterano Luciano Salce e la collaborazione alla sceneggiatura di due professionisti della commedia all’italiana come Leo Benvenuti e Piero De Bernardi garantiscono qualità e successo, ma è il talento innovativo del geniale Villaggio a rivoluzionare la comicità del cinema italiano mandando a braccetto la satira sociale e il surrealismo grottesco, il senso del tragico di Gogol e il meccanismo farsesco dei cartoni animati. La rappresentazione dell’italiano medio raccontato da Alberto Sordi viene amplificata e deformata dal gusto dell’iperbole paradossale: il travet diventa l’emblema dell’uomo mediocre, fallito e perdente, servile coi potenti e perseguitato dalla sfortuna. Dopo Pinocchio e don Camillo, Fantozzi è l’ultima maschera entrata a far parte del patrimonio comune degli italiani, capace di rinnovare anche il vocabolario, con locuzioni come il “megadirettore galattico”, la “salivazione azzerata”, le poltrone “in pelle umana”, per non parlare dei rovinosi congiuntivi o degli aggettivi “mostruoso” e “pazzesco”. Ma anche l’aggettivo “fantozziano” è ormai diffuso come “kafkiano” o “felliniano”.
NELLE VICINANZE
“A Maurizio Arena (1933-1979) figlio ed orgoglio della Garbatella”: così recita la targa commemorativa apposta sulla casa natale del popolare attore romano protagonista di Poveri ma belli (1957), il cui vero nome era Maurizio Di Lorenzo, in via della Garbatella 22. Lì ha vissuto anche la sorella Rossana Di Lorenzo (1938-2022), attrice nota soprattutto per aver interpretato in un paio di film la moglie pacioccona di Alberto Sordi.
(Testi a cura di Fabio Canessa, podcast a cura di Alessandra Accardo)
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