Voglia di rinascita, tra cinema e terrorismo
A Testaccio entreremo nel Rome War Cemetery, dove riposano i soldati del Commonwealth caduti durante le operazioni di liberazione della città, mentre la tappa di Cinecittà ci porterà nel magico mondo di quella che nel dopoguerra veniva chiamata la Hollywood sul Tevere.
Al Piper Club di via Tagliamento torneremo ai tempi della gioventù spensierata della beat generation, mentre a Valle Giulia ricorderemo le lotte di quella impegnata politicamente durante gli anni della contestazione studentesca.
La criminalità, comune o organizzata, fa da sfondo alla Roma degli anni Settanta, mietendo anche vittime illustri, come Pier Paolo Pasolini, visto per l’ultima volta a Roma al Biondo Tevere, una trattoria su via Ostiense, altra tappa di questo percorso. Nelle vicinanze faremo sosta a via Chiabrera, di fronte all’appartamento affittato dalla colonna romana delle Brigate Rosse in cui venne architettato il sequestro Moro. E andremo anche lì, a via Fani, dove il leader della Dc fu rapito e dove rimasero uccisi cinque agenti della sua scorta.
Violenza che pochi anni più tardi non risparmia nemmeno i luoghi sacri, come vedremo giungendo a Piazza San Pietro, teatro dell’attentato a papa Wojtyla del 1981, e alla Sinagoga di Roma, bersaglio di un vile atto terroristico solamente un anno più tardi.
Raggiungeremo anche la strada conosciuta soprattutto per uno dei più misteriosi “cold case” italiani, il delitto di via Poma, un caso ancora aperto.
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1. Via Fani – via Mario Fani 119 (Trionfale)
Il sequestro di Aldo Moro
IL LUOGO
Siamo nel quadrante nord-ovest della città, nel quartiere Trionfale, che prende il nome dalla strada omonima che lo attraversa e che fin dall’antichità congiunge Roma alla città etrusca di Veio, sua acerrima nemica. La via Triumphalis si chiama così dal 396 a.C., anno in cui il dittatore Furio Camillo la percorre da trionfatore facendo ritorno a Roma dopo essere riuscito a sottomettere una volta per tutte Veio.
Alla fine di una traversa di via Trionfale, esattamente all’incrocio tra via Mario Fani e via Stresa, accanto al segnale di stop, c’è un monumento di marmo con dei nomi incisi. È qui dal 16 marzo del 2018, eretto in occasione del quarantesimo anniversario di un agguato terroristico che ha segnato la vita della Repubblica italiana, passato alla storia come la strage di via Fani.
LA STORIA
La mattina del 16 marzo 1978 il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro è nella sua abitazione in attesa della scorta, in procinto di recarsi alla Camera dei deputati, dove è in programma la votazione della fiducia al IV governo Andreotti. Moro è a un passo dal realizzare il “compromesso storico”, il disegno che vede il coinvolgimento del Partito comunista nel governo del Paese, a maggioranza democristiana.
Sono quasi le 9:00 quando Moro sale sul sedile posteriore di una Fiat 132, in compagnia dei carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci. Su un’altra macchina, un’Alfetta, ci sono altri tre componenti della scorta, gli agenti di polizia Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Seguendo il percorso abituale verso il centro, le due vetture raggiungono via Fani. Qui, all’incrocio con via Stresa, hanno organizzato l’agguato alcuni componenti delle Brigate Rosse per mettere in atto quella che hanno chiamato in codice “operazione Fritz”. In pochi secondi i brigatisti bloccano le due auto e fanno fuoco sugli agenti della scorta. Quattro di loro vengono uccisi sul colpo, mentre Francesco Zizzi muore poco dopo in ospedale.
Moro viene caricato su una delle auto dei terroristi, che fanno perdere le loro tracce. Alle 10:10 la strage e il rapimento vengono rivendicate con queste parole: “Questa mattina abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia cristiana Moro ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga. Seguirà comunicato”. Firmato, Brigate Rosse.
Dopo 55 giorni di prigionia Aldo Moro viene ucciso. Il suo corpo viene ritrovato il 9 maggio all’interno del portabagagli di una Renault 4 rossa in via Caetani, a metà strada tra la sede del Pci e quella della Dc.
NELLE VICINANZE
A 100 metri dall’incrocio in cui ci troviamo, possiamo raggiungere via della Camilluccia. Scendendo su questa strada per circa 600 metri e poi svoltando a sinistra in via Edmondo de Amicis, c’è l’ingresso della Riserva naturale di Monte Mario, l’altura più elevata di Roma. Qui possiamo fare una passeggiata all’interno del parco fino a raggiungere viale del Parco Mellini, dove si apre una terrazza dalla quale è possibile godere di un meraviglioso panorama sulla città.
INFORMAZIONI UTILI
Metro: NO
Autobus: 990
ZTL: NO
Tappa successiva: Piper Club 8 km
2.Il Piper Club – via Tagliamento, 9 (Trieste-Salario)
Il tempio italiano della Beat Generation
Siamo a pochi passi da piazza Buenos Aires. Conosciuta dai romani come “piazza Quadrata” per via della sua forma, si trova a metà tra due quartieri. Dal lato di via Po, infatti, comincia il quartiere Salario, mentre da quello di via Tagliamento, il quartiere Trieste. Prendendo quest’ultima strada, ci fermiamo dopo 50 metri all’altezza del civico 9. Sulla sinistra, se alziamo lo sguardo, campeggia l’insegna del locale che durante gli anni Sessanta e Settanta è stato il simbolo di una nuova generazione di giovani: il Piper Club.
LA STORIA
È l’inizio del 1965 quando Alberigo Crocetta, Giancarlo Bornigia e Alessandro Diotallevi prendono in gestione un locale all’inizio di via Tagliamento. La struttura è stata pensata per ospitare un cinema, ma i giovani imprenditori la trasformano in una discoteca, arredandola in modo stravagante e innovativo per l’epoca, con tanto di opere di artisti del calibro di Andy Warhol, Mario Schifano e Piero Manzoni.
L’inaugurazione di quello che diventerà il tempio della Beat generation italiana ha luogo il 17 febbraio del 1965. Le star della serata sono i The Rokes, gruppo inglese guidato da uno scatenato Shel Shapiro. A dar voce alla musica italiana, invece, è il ventunenne Maurizio Vandelli con la sua Equipe 84, che di lì a pochi anni diventerà il più importante complesso di musica beat nostrana. La serata inaugurale è un successo e in poche settimane del Piper Club si parla in tutta Italia.
Sul suo palco si esibiscono personaggi che faranno la storia della musica leggera italiana, come Rocky Roberts, Mia Martini, Loredana Bertè, Renato Zero, Nada e Caterina Caselli. Una ragazza, in particolare, ha mosso i suoi primi passi nel mondo della musica nel locale di via Tagliamento, tanto da essere definita “la ragazza del Piper”: Patty Pravo.
Il 18 e il 19 aprile 1968, arrivano a suonare qui anche i Pink Floyd, uno dei gruppi rock più celebri di tutti i tempi.
A partire dalla fine degli anni Sessanta e per tutti i Settanta, il Piper condiziona le tendenze delle giovani generazioni del boom economico, scrivendo insieme a loro un importante capitolo della storia del costume in Italia.
NELLE VICINANZE
Attraversando via Tagliamento e prendendo via Brenta, arriviamo in due minuti a piazza Mincio, cuore del meraviglioso Quartiere Coppedè, il complesso di edifici che prende il nome dall’architetto che lo ha progettato, Gino Coppedè. Realizzato negli anni Venti del secolo scorso, si trova circoscritto in pochi metri quadrati, nell’isolato compreso fra via Tagliamento, via Arno, via Ombrone e via Clitunno. Vale la pena di fare una passeggiata alla scoperta delle sue architetture che riprendono diversi stili, tra Art déco, Liberty, neogotico, barocco e perfino medievale.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B1: fermata Sant’Agnese – Annibaliano
Autobus: 3L, 63, 83, 92
Tram 19
ZTL: NO
Tappa successiva: Valle Giulia 2,4 km
3. Valle Giulia – via Antonio Gramsci, 53 (Pinciano)
Il dissenso e la contestazione studentesca
IL LUOGO
Ci troviamo appena fuori Villa Borghese, nella valle che la separa dalla collina dei Parioli: Valle Giulia. È chiamata così per la presenza della villa omonima fatta erigere da papa Giulio III alla metà del XVI secolo come sua residenza estiva, dal 1889 diventata sede del Museo nazionale etrusco. La nostra meta si trova proprio alle spalle dell’edificio, ed è raggiungibile in due minuti da piazza Thorvaldsen. Prendendo via Antonio Gramsci, e passando alla sinistra dell’edificio bianchissimo e classicheggiante dell’Accademia Britannica, si arriva ai piedi della scalinata d’ingresso della facoltà di Architettura della Sapienza.
Questo luogo è stato teatro di uno degli episodi più importanti del turbolento Sessantotto italiano: la cosiddetta Battaglia di Valle Giulia.
LA STORIA
Il 29 febbraio del 1968 la facoltà di Architettura, occupata da giorni, viene fatta sgomberare dalla polizia su espressa richiesta del rettore Pietro Agostino D’Avack. Il giorno dopo, oltre 4000 studenti si danno appuntamento a piazza di Spagna con l’obiettivo di riprendersi il loro spazio. Vogliono dare un taglio al passato e chiedere forme di istruzione meno obsolete e autoritarie. Marciando decisi, al grido di slogan come “Potere studentesco” e “Via la polizia dalle università”, percorrono la via Flaminia e si dirigono verso via Antonio Gramsci.
Giunti ai piedi della scalinata della facoltà di Architettura, si trovano davanti decine di poliziotti in tenuta antisommossa, con tanto di elmetti e manganelli. Ci vuole poco per innescare la miccia. All’inizio sono solo insulti e lanci di uova, ma in pochi minuti diventa una battaglia. Intorno alle 11:00 la polizia carica gli studenti, che rispondono con il lancio di sassi, rami e pezzi di panchine divelte.
Gli scontri degenerano presto in una vera e propria guerriglia urbana. Alcuni mezzi delle forze dell’ordine vengono dati alle fiamme. Qualche studente riesce a entrare all’interno della facoltà, ma viene allontanato con gli idranti. La situazione è critica: molti giovani vengono pestati a sangue, decine di loro vengono portati in questura. Gli scontri durano più di due ore e lasciano sul campo decine di feriti, da entrambe le parti.
Alle 13:30 è tutto finito. La polizia, alla fine, ha la meglio. Ma quest’episodio è rimasto nella storia perché per la prima volta degli studenti hanno affrontato a viso aperto le forze dell’ordine contestando i valori conservatori e l’autorità costituita.
NELLE VICINANZE
Lungo viale delle Belle Arti, a 200 metri di distanza uno dall’altro, si trovano due musei nazionali: il Museo nazionale etrusco e la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. Il primo raccoglie le antichità preromane del Lazio, dell’Etruria meridionale e dell’Umbria appartenenti alle civiltà etrusca e falisca, mentre il secondo espone circa 20.000 opere che testimoniano le principali correnti artistiche dall’Ottocento ai nostri giorni: dal Neoclassicismo all’Impressionismo, dal Divisionismo alle Avanguardie del primo Novecento, dal Futurismo al Surrealismo.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermata Flaminio
Autobus: 982
ZTL: NO
Tappa successiva: via Carlo Poma 1,9 km
4.Via Poma – via Carlo Poma, 2 (Vittoria)
Simonetta Cesaroni: un caso ancora aperto
IL LUOGO
Siamo nel quartiere Prati, in quella parte che in origine veniva definita quartiere della Vittoria, a nord-est di Città del Vaticano. La strada in cui siamo diretti è a pochi metri da piazza Giuseppe Mazzini. Punto di snodo fondamentale della zona, delle otto strade che si irraggiano da qui, prendiamo via Angelo Brofferio e la percorriamo per poco più di 100 metri, svoltando poi leggermente a destra in via Carlo Poma. Giunti all’altezza del civico 2, vediamo una serie di cancelletti bianchi che danno accesso a un cortile immerso nel verde, intorno al quale svettano eleganti palazzine. Questo scorcio apparentemente anonimo è stato visto per anni sui giornali, nei telegiornali e nelle trasmissioni televisive: è il luogo che è stato teatro uno dei casi irrisolti più famosi del Paese: il delitto di via Poma.
LA STORIA
È il 7 agosto del 1990, Roma è rovente e quasi deserta. Molti sono partiti per le vacanze. Una ragazza di vent’anni, Simonetta Cesaroni, entra nell’ufficio di via Poma dove ha trovato un impiego estivo come segretaria. È il suo ultimo giorno di lavoro prima delle ferie. Comincia il suo lavoro intorno alle 16:00. Dopo poco più di un’ora parla al telefono con Luigia Berrettini. Sarà l’ultima persona che sentirà la voce di Simonetta. Quando è ormai passata l’ora di cena e la ragazza ancora non è rientrata a casa, i familiari si preoccupano dell’inconsueto ritardo. Quando le capita di rientrare tardi dal lavoro, infatti, Simonetta è abituata ad avvertire tempestivamente la famiglia.
Intorno alle 21:30, la sorella Paola avverte il datore di lavoro della ragazza, Pietro Volponi, e insieme raggiungono via Poma per controllare che non sia rimasta in ufficio. Volponi guida la fila, percorre il corridoio silenzioso, si affaccia in una delle stanze e poi indietreggia inorridito, respingendo Paola per risparmiarle la terribile scena.
Sul pavimento, infatti, c’è il corpo di Simonetta, seminudo e straziato da ben 29 coltellate. L’assassino si è accanito sul corpo della giovane, poi ha pulito e messo tutto in ordine, portandosi via alcuni indumenti della vittima. Prima di lasciare il luogo del delitto, l’assassino le prende anche i gioielli, d’oro: il girocollo, un bracciale, un anello e gli orecchini. Poi, afferrate le chiavi, chiude la porta dietro di sé, facendo perdere le sue tracce.
A distanza di 32 anni, nonostante diversi sospettati e una lunga serie di processi, l’autore di questo efferato delitto non ha ancora un nome.
NELLE VICINANZE
Da via Carlo Poma, prendendo via Francesco de Santis e poi svoltando a destra su viale delle Milizie, dopo 600 metri arriviamo all’incrocio con via Leone IV. Da qui, proseguendo verso sinistra, in meno di cinque minuti arriviamo di fronte all’ingresso dei Musei Vaticani. Celeberrimi in tutto il mondo, al loro interno è custodita una vastissima raccolta di opere d’arte, accumulata nel corso dei secoli dai pontefici. Dalle sculture classiche a Salvador Dalì, passando per i capolavori di Michelangelo e Raffaello, per ammirare le opere qui esposte non basta una giornata intera.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermata Lepanto
Autobus: 70, 490, 590, 982, 990
Tram 19
ZTL: NO
Tappa successiva: Piazza San Pietro 1,7 km
5. Piazza San Pietro (Vaticano)
L’attentato a papa Giovanni Paolo II
IL LUOGO
Usciamo dai confini italiani per andare nello Stato più piccolo del mondo: Città del Vaticano. Attraversato Ponte Vittorio Emanuele II, di fronte a Castel Sant’Angelo, basta percorrere circa 400 metri su via della Conciliazione per arrivare a piazza San Pietro. È una delle più celebri piazze del mondo, capolavoro architettonico di Gian Lorenzo Bernini, realizzato tra 1656 e 1667.
Superata la metà del colonnato di destra, se facciamo attenzione, possiamo vedere una piccola lapide quadrata incastonata sul pavimento. È stata fatta apporre da Benedetto XVI nel punto esatto in cui Giovanni Paolo II si accasciò dopo essere stato colpito da due proiettili. Come inciso sulla lapide, era il 13 maggio 1981.
Sono da poco passate le 17:00 quando papa Giovanni Paolo II, a bordo della sua papamobile scoperta, entra in una piazza San Pietro gremita di fedeli. La folla lo saluta calorosamente. I più vicini al percorso della vettura allungano le mani al suo passaggio per stringere la mano del pontefice, che non si sottrae. Durante il secondo giro della piazza prende in braccio una bambina per benedirla ma, appena la riconsegna nelle braccia dei genitori, un colpo di pistola gli perfora l’addome, seguito da un secondo che gli spezza l’indice della mano sinistra.
Il tutto viene ripreso dalle telecamere. Le tragiche immagini fanno presto il giro del mondo. Nei fotogrammi si vede anche la mano che spara. È quella di Ali Ağca, un tiratore esperto appartenente al gruppo di estrema destra turco dei Lupi Grigi, che tenta di dileguarsi tra la folla prima di essere catturato pochi minuti dopo. Sono attimi di panico e terrore.
Appena il papa si accascia all’indietro, sorretto dal suo segretario, la papamobile esce a tutta velocità da piazza San Pietro, diretta verso il pronto soccorso vaticano, dalla parte opposta della basilica. Lì, per caso, in quel momento c’è il medico personale del Papa, il professor Renato Buzzonetti, che gli presta le prime cure. Ma la ferita è grave. Papa Wojtyla, ormai privo di sensi, perde molto sangue e deve essere trasportato al più presto al Policlinico Gemelli. Qui viene sottoposto a una delicata operazione. Nonostante il rischio di morte per dissanguamento, l’intervento viene portato a termine con successo.
Due anni e mezzo dopo Wojtyla andrà a trovare il suo attentatore in carcere. Parlerà con lui e lo perdonerà. Quello che si sono detti è rimasto un segreto tra loro.
NELLE VICINANZE
Rimanendo sulla piazza possiamo ammirare il maestoso doppio colonnato del Bernini, progettato per abbracciare simbolicamente tutti i fedeli e per inquadrare scenograficamente la facciata della Basilica di San Pietro, scrigno di tesori di inestimabile valore e bellezza impossibili da descrivere in poche righe. Dove naturalmente entriamo. Nella prima cappella che incontriamo, sulla destra, uno dei capolavori da non perdere: la Pietà di Michelangelo, in tutto il suo candido splendore.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermata Ottaviano
Autobus: 23, 590, 982
Tram 19
ZTL: NO
Tappa successiva: La Sinagoga di Roma 2,6 km
6. La Sinagoga di Roma – lungotevere de’ Cenci (Sant’Angelo)
Attentato al ghetto: bombe e raffiche di mitra
La Sinagoga di Roma, il cui nome ufficiale è Tempio Maggiore, si trova sul lungotevere de’ Cenci, esattamente di fronte all’Isola Tiberina. Costruita nei primi anni del Novecento, rappresenta il principale punto di riferimento religioso e culturale della comunità ebraica romana.
L’area in cui sorge e tutta la zona che la circonda, corrispondente all’odierno rione Sant’Angelo, vede una forte concentrazione di popolazione di religione ebraica fin dall’antichità. Non a caso è qui che nel 1555 papa Paolo IV istituisce il ghetto di Roma, relegando tutti gli ebrei della città a vivere confinati al suo interno, privati dei diritti civili. Nel 1870, con la caduta del potere temporale dei papi e l’annessione di Roma al Regno d’Italia, il ghetto viene abolito e gli ebrei romani vengono finalmente equiparati a tutti gli altri cittadini italiani.
LA STORIA
Entrando in via del Tempio, all’incrocio con via Catalana, sul pilastro angolare della cancellata che circonda la sinagoga leggiamo l’iscrizione che ricorda il terribile attentato del 9 ottobre 1982. È quasi mezzogiorno e nel tempio sono riunite più di 300 persone, in occasione delle celebrazioni di chiusura del Sukkot, una delle più importanti festività ebraiche.
Alle 11:55 cinque persone ben vestite convergono verso la sinagoga. Tre arrivano dal lato di via Catalana, due da quello di via del Tempio. Appena sono abbastanza vicine all’ingresso lanciano tre o quattro bombe a mano e poi iniziano a sparare raffiche di mitra sulla folla prima di darsi alla fuga. Il silenzio che segue la sparatoria dura un attimo, rotto immediatamente da grida di disperazione. A terra restano diversi feriti, soccorsi prontamente da chi è rimasto illeso, dai passanti e dagli abitanti del vecchio ghetto, che si riversano prontamente sulla strada mentre si avvicina il suono delle sirene della polizia e delle ambulanze. Alla fine si conteranno una quarantina di feriti, alcuni in modo grave.
Per un bambino di due anni, Stefano Gaj Tachè, invece, non c’è più nulla da fare. Muore colpito dalla scheggia di una bomba a mano. Unica vittima innocente di un inaccettabile odio antisemita. A lui è dedicato il largo in cui ci troviamo, adornato con una piccola aiuola in cui cresce una pianta di ulivo.
Ad oggi questo resta il più grave atto antisemita avvenuto in Italia dal secondo Dopoguerra. Mai rivendicato ufficialmente, è stato attribuito ad al-Fath, un’organizzazione paramilitare palestinese. Solo uno dei responsabili è stato finora identificato: Osama Abdel Al Zomar. Condannato in contumacia per il reato di strage nel 1991, è ancora oggi a piede libero.
NELLE VICINANZE
Il ponte che collega l’area del vecchio ghetto all’Isola Tiberina, Ponte Fabricio, risale al 62 a.C. ed è il più antico ponte di Roma conservato nella sua struttura originale e ancora oggi attraversabile. Di fronte ad esso, prendendo via del Portico d’Ottavia, si raggiunge in due minuti l’omonimo monumento costruito da Augusto tra 27 e 23 a.C. e dedicato alla sorella Ottavia. Si trattava in origine di un quadriportico che includeva il tempio di Giunone Regina, quello di Giove Statore, due biblioteche e la Curia Octaviae, un ambiente utilizzato per le riunioni pubbliche.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: Fermata Colosseo
Autobus: H, 23, 63, 280
ZTL: NO
Tappa successiva: Rome war cemetery 2,4 km
Info di servizio: Giorni e orari di apertura su www.museoebraico.roma.it
7. Rome war cemetery – via Nicola Zabaglia, 50 (Testaccio)
Le 426 lapidi dei soldati britannici
IL LUOGO
Siamo nel rione Testaccio, vicino alle sponde del Tevere dove in antichità si trovava il porto fluviale di Roma, l’Emporium. Il rione prende il nome dal Monte Testaccio, una collina artificiale formatasi tra I e III secolo d.C. a causa del continuo accumulo dei cocci (testae) delle anfore utilizzate per il trasporto delle merci che arrivavano via fiume.
Ai piedi del versante orientale della collina, dobbiamo prendere via Nicola Zabaglia, la strada che punta dritta verso le Mura Aureliane. Poco prima di raggiungere le arcate che si aprono nelle mura, vediamo alla nostra destra una struttura cilindrica in mattoni, al centro della quale si apre un portale di marmo inquadrato da due colonne. Come recita l’iscrizione sullo zoccolo di marmo in basso a sinistra, questo è l’ingresso del Rome war cemetery.
La Liberazione del 25 aprile 1945 è senza dubbio frutto del sacrificio di migliaia di italiani che hanno combattuto coraggiosamente opponendosi al regime fascista e all’occupazione nazista del nostro Paese. Ma la conquista della libertà è passata anche attraverso il sacrificio di molti soldati alleati, morti lontano dalla loro patria. Alla fine della guerra gli americani lasciano sul suolo italiano circa 32.000 uomini. Per quanto riguarda l’impero britannico il bilancio è ancora più pesante, arrivando a superare i 45.000 caduti, sepolti in ben 41 cimiteri di diverse località italiane. Il Rome war cemetery di Testaccio è uno di questi.
Realizzato nel 1947, ospita le tombe dei militari del Commonwealth morti durante le operazioni di liberazione di Roma. Al centro del tempietto d’accesso sorge un sacrario di bronzo che riporta tutti i nomi dei caduti. Da qui partono due vialetti paralleli in fondo ai quali si erge la “croce del sacrificio”: una croce di marmo bianco presente in tutti i cimiteri di guerra del Commonwealth del mondo che abbiano più di 40 sepolture. Qui di lapidi se ne contano 426.
Tutte bianche e identiche, spuntano da un prato molto curato, disposte ordinatamente, quasi fossero soldati sull’attenti sotto l’ombra dei pini di Roma. Appartengono a soldati inglesi, scozzesi, gallesi, irlandesi, sudafricani, canadesi, indiani, australiani e neozelandesi. Tutti onorati alla stessa maniera, senza distinzione di grado militare, etnia o credo religioso. Sulle lapidi c’è inciso solo il nome del caduto, la sua data di morte, l’età (troppo spesso intorno ai 20 anni) e lo stemma del reparto militare di appartenenza. A volte non è riportato neanche il nome, ma solo la scritta “un soldato della Seconda guerra mondiale”.
NELLE VICINANZE
Uscendo su via Nicola Zabaglia e procedendo verso sinistra, la prima traversa sulla destra è via Caio Cestio. Proseguendo per circa 250 metri su questa strada arriviamo all’ingresso del Cimitero Acattolico. Vale la pena fare una sosta al suo interno per godere di qualche minuto di pace immersi nel verde all’ombra della Piramide Cestia. Qui, tra pini, cipressi, mirti e rose selvatiche, si trovano le tombe di molti non cattolici morti a Roma, tra i quali figurano personaggi illustri, come i poeti romantici John Keats e Percy Bysshe Shelley, Antonio Gramsci e Andrea Camilleri.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Piramide
Autobus: 83
ZTL: NO
Tappa successiva: Al Biondo Tevere 1,3 km
8. Al Biondo Tevere – via Ostiense, 178 (Ostiense)
L’ultima cena di Pier Paolo Pasolini
Stiamo percorrendo la via Ostiense, la strada che collega Roma a Ostia. È una delle strade più antiche della città, il cui primo tracciato risale addirittura al VII secolo a.C., al tempo della fondazione della colonia di Ostia voluta dal quarto re di Roma, Anco Marzio.
Da Porta San Paolo, l’ingresso delle Mura Aureliane da cui parte la via Ostiense, dobbiamo proseguire dritti per circa un chilometro e mezzo e fermarci all’altezza del civico 178. Voltandoci a sinistra, in alto vediamo una grande insegna che campeggia come uno stendardo sopra una cancellata. Sopra, una scritta: Al Biondo Tevere. La trattoria romana in cui Pier Paolo Pasolini è stato visto vivo per l’ultima volta.
LA STORIA
È la sera del primo novembre del 1975, quando Pier Paolo Pasolini parcheggia la sua Alfa Romeo 2000 GT Veloce davanti alla trattoria Al Biondo Tevere. Non è solo. Insieme a lui c’è Pino Pelosi, un diciassettenne molto simile a quei ragazzi di bassa estrazione sociale che Pasolini ha descritto nelle sue pagine o immortalato nei suoi film. Gli ha voluto offrire una cena. Nonostante siano passate le 11:00 e la trattoria stia per chiudere, il titolare dice alla moglie di preparare un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino. La cuoca protesta ma il marito ribatte prontamente: “A Pasolini che gli diciamo di no?”. Gli spaghetti in realtà sono per il ragazzo. Pasolini ha già mangiato e si fa portare solo una birra. Vanno via quando è già passata la mezzanotte, dirigendosi verso il mare.
La mattina seguente, alle 6:30, una donna ritrova il corpo martoriato di Pasolini sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia. Sarà il suo amico, l’attore Ninetto Davoli, a riconoscerlo. La sentenza del processo riconoscerà come unico colpevole lo stesso Pelosi, che sembra sia passato più volte sul corpo di Pasolini con la sua auto dopo averlo tramortito con un bastone. Ma la vicenda non è chiara e negli anni successivi sono emerse delle ombre tra inchieste, ipotesi e testimonianze.
La tragica morte dello scrittore sarà sintetizzata egregiamente dalle parole di Alberto Moravia, il quale dirà: “La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile”.
NELLE VICINANZE
Proseguendo dritti per circa 500 metri si arriva al cospetto della Basilica di San Paolo fuori le mura. Si tratta di una delle quattro basiliche papali di Roma, la seconda più grande dopo quella di San Pietro, e sorge sul luogo dove, secondo la tradizione, fu sepolto l’apostolo Paolo dopo essere stato martirizzato nel 67 d.C. lungo la via Ostiense. Entrare in questo luogo è un’esperienza da non perdere, sia per ammirare le sue decorazioni, sia per lasciarsi stupire dalla maestosità delle architetture, rispetto alle quali ci si sente davvero piccoli.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: Fermata Garbatella
Autobus: 23, 769, 792
ZTL: NO
Tappa successiva: Via Chiabrera 1,2 km
9. Via Chiabrera – via Gabriello Chiabrera, 74 (Marconi-San Paolo)
Il covo romano delle Brigate Rosse
La zona intorno alla Basilica di San Paolo fuori le mura ricade ufficialmente nel quartiere Ostiense, ma viene indicata dai romani col nome di San Paolo. Alle spalle della basilica, dove corre la via Ostiense e si affaccia l’abbazia di San Paolo fuori le mura, prendiamo via Giustiniano Imperatore e proseguiamo per circa 200 metri fino a largo Leonardo da Vinci. Giunti qui si deve girare a destra e imboccare via Gabriello Chiabrera fino a raggiungere il civico 74.
Nell’anonima palazzina che abbiamo davanti, all’interno di un insospettabile appartamento al primo piano formato da due camere e un bagno, si trovava uno dei covi principali della colonna romana delle Brigate Rosse, l’organizzazione eversiva di estrema sinistra nata a Milano nel 1970 che vedeva nella lotta armata l’unico modo per scardinare l’economia capitalista.
LA STORIA
È il 1976 quando le Brigate Rosse sbarcano a Roma per attaccare direttamente il cuore dello Stato. Il loro punto di riferimento nella Capitale è Valerio Morucci, esperto di armi ed ex militante del movimento di estrema sinistra Potere operaio. È lui a prendere in affitto l’appartamento di via Chiabrera.
La mattina del 16 marzo 1978, Morucci è insieme alla sua compagna Adriana Faranda e a Franco Bonisoli, un membro della colonna milanese giunto a Roma da alcuni giorni. Parlano degli ultimi dettagli di un’operazione speciale programmata per quel giorno: il sequestro di Aldo Moro. Mentre la donna rimane nel covo, sintonizzata sulle frequenze di polizia e carabinieri per seguire l’operazione a distanza, i due uomini escono. Proprio dal portone al civico 74. Sono diretti a via Fani, dove si sono dati appuntamento con altri brigatisti.
Sono le 9:00 quando la vettura su cui viaggia Aldo Moro e quella della scorta vengono bloccate in via Fani e crivellate di colpi. Per i cinque componenti della scorta non c’è nulla da fare, mentre il presidente della Dc viene caricato su una delle auto dei terroristi che fanno perdere le loro tracce.
Durante i 55 giorni di prigionia di Moro il covo di via Chiabrera è la base esecutiva delle Brigate rosse. Qui vengono prese le decisioni in merito al destino del politico. Compresa quella dell’8 maggio 1978, giorno in cui il direttivo della colonna romana si riunisce per organizzare le modalità di esecuzione e il trasporto del suo cadavere nel centro di Roma. Tutto viene eseguito come stabilito. Moro viene ritrovato nel portabagagli di una Renault 4 rossa alle 13:15 del giorno seguente nella centralissima via Caetani.
NELLE VICINANZE
Proseguendo su via Chiabrera per 300 metri e svoltando a sinistra in via Silvio d’Amico, dopo una trentina di metri si arriva al civico 42, dove si trovano le catacombe di Santa Tecla. Da un comune incrocio moderno circondato dai palazzi, scendendo pochi gradini, ci si trova magicamente immersi in un ambiente del IV secolo. Tra 2009 e 2010, durante alcuni lavori di restauro, qui sono state scoperte delle immagini dal valore inestimabile: le più antiche raffigurazioni che si conoscano degli apostoli Paolo, Pietro, Andrea e Giovanni.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Basilica S. Paolo
Autobus: 715
Treno Roma Lido, fermata Basilica S. Paolo
ZTL: NO
Tappa successiva: Cinecittà 10, 5 km
Info di servizio Per visitare le catacombe di Santa Tecla occorre fare richiesta alla Pontificia commissione di archeologia sacra.
E-mail: protocollo@arcsacra.va
Telefono: 06 4 .65 610
10. Cinecittà – via Tuscolana 1055 (Appio Claudio)
Gli anni d’oro della Hollywood sul Tevere
Siamo nel quartiere Appio Claudio, a sud-est di Roma, nell’area al di là dell’incrocio di viale Palmiro Togliatti con via Tuscolana. Il nome del quartiere si riferisce ad Appio Claudio Cieco, importante personaggio romano a cavallo dei secoli IV e III a.C. e costruttore nel 312 a.C. della via Appia e del primo acquedotto di Roma, l’Aqua Appia.
Fino agli anni Trenta del Novecento questa era una zona di aperta campagna, ma nel 1936 accade un evento che renderà famoso il quartiere. A seguito dell’incendio che distrugge gli studi cinematografici di Roma, situati vicino alla Basilica di San Giovanni, infatti, qui viene realizzata la nuova città del cinema della Capitale: Cinecittà. Raggiungere il suo ingresso oggi è semplice, dato che si trova proprio accanto alla fermata della metro omonima, al civico 1055 di via Tuscolana.
LA STORIA
Nata nel 1937 per volontà del regime fascista, che voleva farne il quartier generale del consenso e della propaganda, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 e la conseguente occupazione tedesca di Roma, Cinecittà viene saccheggiata dai nazisti. Il declino sembra inevitabile quando, nell’immediato dopoguerra, i suoi studi vengono utilizzati come centro di accoglienza per sfollati e rifugiati.
In poco tempo, invece, Cinecittà rinasce. Agli inizi degli anni Cinquanta i produttori americani la scelgono come set di kolossal destinati al pubblico di tutto il mondo. I motivi sono da ricercare nei bassi costi e nella grande abilità delle maestranze italiane che lavorano per il cinema. In quegli anni di crisi economica, infatti, sono moltissimi gli artigiani che si riconvertono al cinema. Stuccatori, muratori, falegnami, carpentieri, pittori: tutta gente di grande esperienza e abilità che si appresta a trasformare Cinecittà nella “Hollywood sul Tevere”.
La stagione d’oro di questa fabbrica dei sogni va dal 1950, quando iniziano le riprese del kolossal Quo vadis?, al 1969, anno in cui si interrompe la collaborazione con Hollywood. In questo ventennio Cinecittà è il centro propulsore del cinema mondiale, e Roma la città dei divi e dei grandi registi, delle notti mondane, del gossip e della “Dolce Vita”. È il periodo in cui il cinema italiano fa scuola nel mondo, grazie a maestri del calibro di Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e Federico Fellini, e dive inarrivabili come Gina Lollobrigida e Sophia Loren.
Dal 2019 sede del Miac, il Museo Italiano dell’Audiovisivo e del Cinema, oggi Cinecittà è ancora una delle location italiane predilette da registi e produttori per la realizzazione di film, documentari, serie tv e video musicali.
NELLE VICINANZE
Trovandoci qui non possiamo perdere un tour dei leggendari Studios di Cinecittà. Entrando dall’ingresso principale si accede a un verde e curatissimo prato inglese popolato qua e là da veri gioielli di scenografie del passato, come la grande testa della Venusia del Casanova di Federico Fellini. È possibile fare un viaggio nel tempo visitando i set di celebri film, camminando tra templi e architetture dell’antica Roma, passeggiando per le vie della Gerusalemme ai tempi di Gesù o visitando i diversi padiglioni in cui sono in mostra celebri arredi e costumi di scena.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermata Cinecittà
Autobus: 213, 502, 503, 520, 789, C11, T02
ZTL: NO
Info di servizio: Cinecittà si Mostra è aperta tutti i giorni (escluso il martedì) dalle ore 10:00 alle ore 18:00. La biglietteria chiude alle ore 16.30.
(Testi a cura di Marco Eusepi, podcast a cura di Francesca Chiarantano)