I luoghi della guerra e della lotta
Questo percorso si snoda tra i luoghi che hanno assistito alle privazioni delle libertà del ventennio fascista e alle atrocità dell’occupazione tedesca della città fino agli atti eroici della Resistenza.
Camminando su lungotevere Arnaldo da Brescia, torneremo nel punto in cui Giacomo Matteotti venne sequestrato (e poi ucciso) mentre si recava a Montecitorio e, fermandoci davanti all’ingresso dell’Hotel Villa Morgagni, ricorderemo il giorno dell’arresto di Antonio Gramsci da parte della polizia fascista.
Saremo poi sotto al balcone di Palazzo Venezia, dal quale Mussolini pronuncia il fatidico discorso con il quale l’Italia entrò in guerra. Una guerra che fece piovere bombe sulla città sventrando interi quartieri e portando distruzione anche in un luogo sacro e antico come la Basilica di San Lorenzo fuori le mura.
Andremo poi nei luoghi simbolo della resistenza, come Porta San Paolo, ultimo baluardo dei difensori di Roma prima dell’inizio dell’occupazione nazista della città. Un’occupazione che ci porterà a rivivere momenti tragici, come quelli dei rastrellamenti del Portico di Ottavia, cuore del ghetto ebraico romano, e del Quadraro, quartiere definito dai nazisti un “nido di vespe”.
Percorreremo strade macchiate di sangue come via Tasso, sede del carcere nazista teatro di indicibili torture che oggi ospita il Museo Storico della Liberazione, viale Giulio Cesare, dove Teresa Gullace venne uccisa senza pietà mentre cercava di parlare con il marito prigioniero, e via Rasella, luogo dell’attentato partigiano contro i militari nazisti.
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1. Targa a Teresa Gullace – viale Giulio Cesare (Prati)
Quella donna simbolo della Resistenza romana
IL LUOGO
Questa tappa ci porta nel rione Prati, a metà strada tra Città del Vaticano e il Tevere. Una zona che, fino alla fine dell’Ottocento, era occupata da pascoli e campi coltivati, tanto che veniva chiamata “Prati di Castello”, per la sua vicinanza con Castel Sant’Angelo. Si tratta, infatti, dell’ultimo rione di Roma in ordine di tempo, istituito nel 1921 e destinato ad accogliere le strutture amministrative del Regno d’Italia e le abitazioni dei relativi funzionari.
La nostra meta si trova nel punto esatto in cui viale Giulio Cesare incrocia via Carlo Alberto dalla Chiesa. Proprio sotto la targa che riporta il nome della strada ce n’è un’altra, spesso accompagnata da una corona di fiori o d’alloro. Il nome, questa volta, è quello di una donna. Una donna divenuta il simbolo della Resistenza della città alle violenze nazifasciste: Teresa Gullace.
LA STORIA
Siamo alla fine di febbraio del 1944, quando Roma è occupata dai tedeschi ormai da quasi sei mesi. Teresa, 37 anni, è una madre di cinque figli, al settimo mese di gravidanza. È venuta dalla Calabria dopo aver sposato Girolamo, che di mestiere fa il manovale. Il 26 febbraio Girolamo viene arrestato e imprigionato in una caserma in viale Giulio Cesare senza che abbia commesso alcun crimine. I nazifascisti rastrellano infatti uomini innocenti per metterli ai lavori forzati o, peggio, per spedirli nei lager in Germania.
Teresa, come molte altre donne, ogni giorno si reca in via Giulio Cesare per tentare di avvicinare suo marito, ma viene sempre respinta. La mattina del 3 marzo davanti alla caserma c’è un assembramento di donne più numeroso del solito. È in corso una protesta, organizzata per impedire che gli uomini rinchiusi siano deportati verso i campi di concentramento. A un certo punto Teresa riesce a scorgere Girolamo tra le grate di una finestra. Lo chiama e cerca di raggiungerlo, facendosi largo tra le manifestanti, cercando di evitare i soldati.
Arriva fin sotto alla finestra del marito, tenendo per mano un fagotto con dentro del pane. Tenta di lanciargli il fagotto, ma questo rimbalza sul muro e cade per terra. Teresa lo raccoglie ma, mentre si rialza per fare un nuovo tentativo, viene raggiunta da un tedesco che, senza nessuna pietà, le spara un colpo alla gola. La donna cade per terra in un lago di sangue, davanti a suo marito e a suo figlio tredicenne Umberto, che quel giorno ha portato con sé. Una scena straziante, che ha ispirato quella interpretata da Anna Magnani nel capolavoro del cinema neorealista diretto da Roberto Rossellini Roma Città Aperta.
NELLE VICINANZE
Procedendo su viale Giulio Cesare verso sinistra rispetto alla targa, camminiamo per circa 350 metri e svoltiamo in via Leone IV. Dopo un centinaio di metri, se svoltiamo a destra arriviamo su viale Vaticano, a pochi passi dall’ingresso dei Musei Vaticani. Rappresentano il polo museale più grande del mondo e raccolgono le opere d’arte conservate dai papi nel corso dei secoli. Tra le opere imperdibili, la Cappella Sistina e gli appartamenti papali affrescati da Michelangelo e Raffaello.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermate Lepanto o Ottaviano
Autobus: 70, 990
ZTL: NO
Tappa successiva: Monumento a Giacomo Matteotti 950m
2. Monumento a Giacomo Matteotti – lungotevere Arnaldo da Brescia (Flaminio)
Il deputato che pagò con la vita la sfida al fascismo
IL LUOGO
Dobbiamo arrivare su lungotevere Arnaldo da Brescia, nel tratto compreso tra Ponte Pietro Nenni e Ponte Giacomo Matteotti, nel quartiere Flaminio. All’altezza dell’incrocio con via degli Scialoja, guardando verso il fiume, vediamo un monumento in bronzo dorato. Per via della sua forma, slanciata verso il cielo e simile a una fiamma, i romani lo hanno ribattezzato “il Fiammifero”. Opera dello scultore Iorio Vivarelli ed eretto qui nel 1974, il suo titolo originale è L’idea, la morte, ispirato a una frase pronunciata dall’uomo a cui è dedicato: Giacomo Matteotti. Rivolgendosi alle camicie nere, qualche mese prima di venire assassinato, disse loro: “Uccidete pure me ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai”.
LA STORIA
Il 30 maggio del 1924 il segretario del Partito socialista unitario, Giacomo Matteotti, prende la parola in Parlamento denunciando i brogli delle elezioni del 6 aprile, quelle che hanno appena consegnato l’Italia nelle mani di Benito Mussolini. Matteotti sa benissimo cosa rischia pronunciando quelle parole. Al termine del suo intervento, rivolto ai suoi compagni di partito, esprime un pensiero che suona come una profezia: “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.
Il 10 giugno, poco dopo le 4 del pomeriggio, Matteotti esce di casa a piedi diretto verso Montecitorio. Mentre percorre il lungotevere Arnaldo da Brescia, passa accanto a una Lancia Kappa scura appostata sul ciglio della strada. Al suo interno, ad attenderlo, ci sono cinque membri della polizia fascista. Aperto lo sportello, due balzano addosso al deputato socialista, il quale cerca di divincolarsi, riuscendo a gettare a terra uno degli aggressori. Solo l’intervento di un terzo uomo riesce a mettere fuori combattimento Matteotti. Stordito da un pugno in pieno volto, viene caricato sull’autovettura che riparte a tutto gas.
All’interno dell’abitacolo si scatena il pestaggio degli uomini del Duce. Matteotti cerca di resistere, tirando calci e pugni alla cieca, fin quando una lama lo trafigge prima sotto l’ascella e poi in pieno petto. Muore così, dopo ore di agonia, uno dei primi coraggiosi oppositori del regime di Mussolini. La macchina, intanto, si è inoltrata nella campagna romana, dove gli squadristi occultano il cadavere in un bosco del comune di Riano, 25 km a nord di Roma. Verrà ritrovato casualmente solo due mesi più tardi.
NELLE VICINANZE
Se attraversiamo la strada e imbocchiamo via degli Scialoja per poi girare a destra alla seconda traversa, via Giambattista Vico, ci troviamo a piazzale Flaminio. Da qui, varcando la Porta del Popolo, possiamo entrare nella piazza omonima. Subito alla nostra sinistra, approfittiamo per entrare nella chiesa di Santa Maria del Popolo, realizzata da artisti come Bramante, Carlo Maderno, Raffaello e Gian Lorenzo Bernini. All’interno della cappella Cerasi, poi, si trovano due capolavori del Caravaggio: la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermate Lepanto o Flaminio
Autobus: 89, 490, 495, 590
Tram 19
ZTL: NO
Tappa successiva: Hotel Villa Morgagni 3,8 km
3. Hotel Villa Morgagni – via Giovanni Battista Morgagni, 25 (Nomentano)
Dove i fascisti arrestarono Antonio Gramsci
IL LUOGO
Siamo nel quartiere Nomentano, a due passi dal Policlinico Umberto I e dalla Sapienza, l’università più grande d’Italia. Percorrendo viale Regina Margherita con l’ospedale sulla nostra sinistra, si deve superare la fermata della metro Policlinico e proseguire per altri 150 metri fino all’incrocio con via Giovanni Battista Morgagni. Imboccando questa strada, dopo 50 metri, sulla sinistra si apre un cancello sovrastato da un’insegna arcuata che ci informa che ci troviamo davanti all’Hotel Villa Morgagni. Sotto l’insegna una targa recita: “In questa casa nel 1925-1926 abitò Antonio Gramsci, deputato del Parlamento, dirigente della classe operaia. Un capo che sapeva ascoltare”. Proprio qui, una sera d’autunno di quasi cento anni fa, arriva la polizia fascista per irrompere nell’appartamento di Gramsci.
LA STORIA
Pochi giorni dopo il fallito attentato a Mussolini del 31 ottobre 1926, il duce risponde duramente con dei provvedimenti liberticidi. A partire dal 5 novembre tutti i partiti antifascisti vengono sciolti e tutti i giornali non allineati al regime vengono soppressi. Il dittatore mette il bavaglio al dissenso, ma non si accontenta solo di cancellare ogni libertà di opinione. Tre giorni dopo, infatti, scattano i mandati di cattura contro diversi oppositori, tra i quali Antonio Gramsci, segretario generale del Partito comunista d’Italia.
Il duce lo teme soprattutto per la sua spiccata intelligenza e per la sua irriducibile volontà di non piegarsi alle prepotenze del regime. Già in passato lo aveva attaccato, definendolo “Quel sardo gobbo, professore di economia e filosofia, un cervello indubbiamente potente”. Il pretesto dell’attentato è l’occasione che Mussolini aspetta per sbarazzarsi di un avversario così scomodo.
Il segretario comunista viene raggiunto dalla milizia fascista alle 22.30 dell’8 novembre, nella casa della famiglia Passarge, dove aveva preso in affitto una stanza fin dal 1924 per cercare di sfuggire alla stretta e ossessiva sorveglianza della polizia che già da tempo lo pedinava. È accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe. In violazione dell’immunità parlamentare, viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.
Dopo oltre due settimane, viene confinato a Ustica e poi trasferito a Milano, a San Vittore, in attesa del processo che inizia soltanto il 28 maggio 1928. Viene condannato a vent’anni, ma non riesce a scontarli tutti perché, fortemente debilitato dalle privazioni subite durante la prigionia, muore il 27 aprile del 1937.
NELLE VICINANZE
Proseguendo su via Giovanni Battista Morgagni per circa 200 metri e svoltando a sinistra in via Lazzaro Spallanzani, dopo 250 metri si raggiunge l’ingresso di Villa Torlonia. Circondata da un meraviglioso giardino all’inglese, al suo interno si trovano diversi edifici adibiti a sedi museali. Il Casino Nobile ospita il Museo della Scuola Romana, mentre la Casina delle Civette, riccamente decorata, conserva decine di preziose vetrate decorate da diversi artisti. Da non perdere una visita al complesso della Serra Moresca, ispirata ai giardini dell’Alhambra di Granada.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Policlinico
Autobus: 61, 120F, 490, 495, 649, P02
ZTL: NO
Tappa successiva: San Lorenzo fuori le mura 1,3 km
4. San Lorenzo fuori le mura – piazzale San Lorenzo (San Lorenzo)
Le prime bombe degli Alleati sulla Capitale
IL LUOGO
La nostra meta si trova nel quartiere San Lorenzo, all’altezza del grande incrocio di piazzale del Verano, che separa la città universitaria della Sapienza dal cimitero monumentale del Verano. Giunti sul piazzale dobbiamo puntare dritti verso la colonna sormontata dalla statua di San Lorenzo, dietro la quale si scorge la facciata e il campanile della Basilica di San Lorenzo fuori le mura.
Accanto al luogo di sepoltura dell’arcidiacono Lorenzo, martirizzato nel 258, l’imperatore Costantino fa erigere una prima basilica già nel IV secolo. Alla fine del VI secolo papa Pelagio II realizza una seconda basilica proprio sulla tomba del martire, modificata nel XIII secolo da papa Onorio III. Quella che vediamo oggi è il frutto di una ricostruzione ultimata nel 1948, dopo un evento tragico: il primo bombardamento aereo della storia su Roma.
LA STORIA
Siamo nel luglio del 1943. L’Italia è entrata in guerra da tre anni ma Roma, fino a questo momento, è stata risparmiata dai bombardamenti. Le sirene hanno suonato l’allarme antiaereo in diverse occasioni, ma ogni volta gli aerei degli alleati hanno sorvolato la città dirigendosi altrove. Dopo l’ennesimo falso allarme molti romani iniziano a pensare che la capitale sia intoccabile. Forse per via dei continui inviti di papa Pio XII a risparmiare la Città Santa, o forse perché gli inglesi e gli americani hanno un profondo rispetto per le meraviglie archeologiche e artistiche di Roma.
Una certezza che viene cancellata la mattina del 19 luglio.
Appena dopo le 11.00, il cielo di Roma viene invaso dalla più grande flotta aerea che mai abbia solcato i cieli italiani: 662 bombardieri scortati da 268 caccia. Gli obiettivi principali sono gli scali ferroviari, in primis quello di San Lorenzo, punto nevralgico per i rifornimenti destinati all’esercito italo-tedesco. Nelle intenzioni degli alleati, i lanci avrebbero dovuto essere precisi, per ridurre al minimo il coinvolgimento di civili. Tuttavia, le bombe non colpiscono solo la stazione, ma anche case, palazzi, il cimitero del Verano, il Policlinico Umberto I e la Basilica di San Lorenzo.
Alla fine di questa giornata infernale il bilancio è tragico: le 4000 bombe sganciate a più riprese sulla città provocano circa 3.000 morti e 11.000 feriti. Nel solo quartiere di San Lorenzo si registrano 1.500 vittime e 4.000 feriti. Il tetto della basilica è crollato, le travi spezzate ricoprono il pavimento, distruggendo per sempre il prezioso mosaico cosmatesco del XIII secolo. L’orologio del campanile, colpito dalle schegge, si ferma sull’ora in cui la morte è piombata dal cielo: le 11:03.
NELLE VICINANZE
Guardando la facciata della basilica, basta spostarsi di circa 100 metri sulla destra per raggiungere l’ingresso del cimitero monumentale del Verano, che con il suo patrimonio di sculture e altre opere d’arte costituisce un vero e proprio museo a cielo aperto, dal grande valore storico, artistico e culturale. Al suo interno si trovano le tombe di decine di personaggi illustri tra cui Goffredo Mameli, Trilussa, Giuseppe Ungaretti, Grazia Deledda, Alberto Moravia, Gianni Rodari, Eduardo De Filippo, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Vittorio De Sica e Alberto Sordi.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Policlinico
Autobus: 3L, 542
Tram 19
ZTL: NO
Tappa successiva: Via Rasella 3,5 km
Info di servizio: La Basilica apre tutti i giorni dalle ore 7.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 19.00 (Durante la celebrazione dei riti religiosi non è consentita la visita)
5. Via Rasella – via Rasella, 44 (Trevi)
La bomba che uccise 33 soldati tedeschi
IL LUOGO
Siamo nel centro storico di Roma, all’interno del rione Trevi. L’origine del suo nome non è troppo chiara, ma probabilmente si riferisce alla presenza, durante il Medioevo, di un trivio (ovvero un incrocio di tre strade) che si trovava vicino alla piazza in cui oggi sorge la celebre Fontana di Trevi. Prendendo quest’ultima come punto di riferimento, per raggiungere la nostra destinazione dobbiamo imboccare via del Lavatore e proseguire dritti su via in Arcione. Arrivati all’incrocio con via del Traforo, continuando dritti, siamo in via Rasella. Camminando per circa 70 metri, ci fermiamo all’incrocio con via del Boccaccio e guardiamo alla nostra sinistra i piani superiori del palazzo che fa angolo: i buchi che vediamo sono lì da un giorno di inizio primavera del 1944. Il giorno dell’attentato di via Rasella.
LA STORIA
Marzo 1944. Roma è occupata dai tedeschi da sei mesi. È il periodo in cui i partigiani dei Gruppi di Azione Patriottica (Gap) colpiscono più volte i nazifascisti nel centro storico. L’occasione per un nuovo attentato si presenta quando due gappisti, dalla finestra dell’appartamento in cui si sono rifugiati, notano una colonna di soldati tedeschi che fa sempre lo stesso tragitto da diversi giorni. Alla stessa ora, verso le due del pomeriggio, passa per piazza di Spagna, percorre via dei Due Macelli e poi svolta a sinistra in via Rasella.
Per qualche giorno diversi partigiani si appostano nei paraggi per studiare nei minimi dettagli i tempi e i movimenti della colonna tedesca. Decidono che il punto migliore in cui attaccarla è via Rasella perché è una strada piuttosto stretta e la bomba che stanno assemblando potrebbe causare ancora più danni.
Il giorno deciso per l’attentato è il 23 marzo. Il compito di far brillare l’esplosivo viene affidato a Rosario Bentivegna. Travestito da spazzino, questi raggiunge via Rasella con il carretto contenente l’ordigno. Poco prima delle 16:00, quando i militari imboccano via Rasella, Rosario accende la miccia preparata per innescare l’esplosione nel tempo necessario ai tedeschi per percorrere il tratto di strada che li separa dal carretto. Il boato che segue è devastante e uccide 33 militari tedeschi e due civili italiani.
Il mattino seguente i vertici militari della Wermacht organizzano la tremenda vendetta. Per ogni militare tedesco ucciso verranno giustiziati 10 italiani. Ne vengono rastrellati 335 tra civili, militari, prigionieri politici, detenuti comuni ed ebrei, barbaramente trucidati nel pomeriggio alle Fosse Ardeatine. La strage più efferata compiuta dai nazisti durante l’occupazione di Roma.
NELLE VICINANZE
Da via Rasella, prendendo via in Arcione e proseguendo dritti su via del Lavatore, si arriva in poco più di cinque minuti davanti alla Fontana di Trevi, la più celebre e la più grande tra le fontane romane. Ultimata nel 1762 dopo trent’anni di lavori, è uno dei monumenti simbolo della città, protagonista di una delle scene più celebri del cinema mondiale: quella de La Dolce Vita di Federico Fellini in cui Anita Ekberg si tuffa nelle sue acque. Secondo la tradizione, chi lancia una monetina nella vasca a occhi chiusi e con le spalle rivolte alla fontana, tornerà a visitare Roma.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermata Barberini
Autobus: 71, 117
ZTL centro storico
Diurna: lun – ven 6:30 –18:00, sab 14:00 – 18:00 (esclusi festivi)
Notturna: ven e sab 23:00 – 3:00 (esclusi i festivi, non attiva ad agosto)
Tappa successiva: Palazzo Venezia 1,1 km
6. Palazzo Venezia – piazza Venezia (Campo Marzio)
Mussolini e il discorso che cambiò la storia
IL LUOGO
Dominata dal Vittoriano, il grandioso monumento in onore di re Vittorio Emanuele II, piazza Venezia è uno dei luoghi più celebri della città. Qui siamo letteralmente circondati dalle più importanti testimonianze della Roma antica. Guardando la facciata del Vittoriano, a sinistra si trovano i Fori imperiali, a destra l’area del Teatro di Marcello e del Portico d’Ottavia, mentre alle sue spalle sorge il Foro romano, fulcro della vita pubblica nell’antichità.
Conosciuta nel Medioevo come piazza di San Marco, deve il proprio nome all’edificio rinascimentale che si trova nell’angolo verso via del Plebiscito. Viene costruito tra il 1455 e il 1467 come residenza del futuro papa Paolo II e nel 1560 diventa la sede dell’ambasciata della Repubblica di Venezia. È per questo motivo che è noto come Palazzo Venezia, nome poi esteso a tutta la piazza.
LA STORIA
Alla fine della primavera del 1940 la folle politica del regime fascista raggiunge il suo culmine, trascinando l’Italia in un conflitto per il quale non è pronta né dal punto di vista militare né da quello economico. È il 10 giugno quando i principali mezzi di comunicazione informano la popolazione che alle ore 18:00 il duce terrà un discorso dal balcone di Palazzo Venezia. Chi non è a Roma potrà ascoltare le sue parole alla radio o dagli altoparlanti allestiti nelle piazze delle maggiori città italiane.
Intanto, una sterminata folla si raduna in piazza Venezia. Giunto il momento, passato alla storia come “l’ora delle decisioni irrevocabili”, decine di migliaia di voci invocano Mussolini al grido di “Duce! Duce!”. Appena Mussolini si affaccia dal balcone, in divisa nera da caporale d’onore della milizia, le grida di entusiasmo si fanno assordanti. Dopo il saluto di rito a braccio teso, il duce con un gesto richiama la piazza all’ordine e, aggrappandosi energicamente al cinturone, inizia a parlare. La mascella è caratteristicamente protesa, il tono forte e deciso, le pause studiate minuziosamente e riempite dal puntuale boato d’approvazione della folla.
Il nodo del discorso è tristemente noto: l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania nazista. La chiosa è ancora più famosa: “La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: vincere! E vinceremo!”. A questo punto le urla di entusiasmo si fanno ancora più fragorose, riecheggiando in ogni angolo della città.
Un entusiasmo che avrà vita breve. Tutta la nazione pagherà a caro prezzo l’impreparazione dell’apparato politico e militare fascista. Alla fine della Seconda guerra mondiale i morti italiani, tra militari e civili, saranno quasi mezzo milione.
NELLE VICINANZE
Da piazza Venezia c’è davvero l’imbarazzo della scelta, tanti sono i luoghi straordinari che si possono raggiungere in pochi minuti. Sulla sinistra inizia via dei Fori Imperiali, circondata dalle testimonianze e dagli edifici più importanti dell’antica Roma, dalle origini fino all’epoca imperiale e oltre. Procedendo verso destra, invece, arriviamo in piazza del Campidoglio, progettata da Michelangelo e sede del Comune di Roma e dei Musei Capitolini.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermata Barberini
Autobus: 51, 60, 63, 80, 83, 85, 118, 119, 170, 628, H
ZTL centro storico
Diurna: lun – ven 6:30 –18:00, sab 14:00 – 18:00 (esclusi festivi)
Notturna: ven e sab 23:00 – 3:00 (esclusi i festivi, non attiva ad agosto)
Tappa successiva: Portico d’Ottavia 700m
Info di servizio: lun-ven ogni ora dalle 9.30 alle 18.30 (sab e dom 19.30)
7. Portico d’Ottavia – largo 16 Ottobre 1943 (Sant’Angelo)
Il giorno più buio nel Ghetto di Roma
IL LUOGO
Siamo nel rione Sant’Angelo, il più piccolo di Roma, situato sulla sponda sinistra del Tevere, di fronte all’Isola Tiberina. All’altezza del Ponte Fabricio, basta proseguire in direzione opposta all’isola per scorgere in lontananza una struttura simile a un tempio. Si tratta del Portico d’Ottavia, l’edificio costruito tra il 27 e il 23 a.C. da Augusto e dedicato alla sorella Ottavia. Tra le sue rovine nell’VIII secolo viene edificata la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, nome dovuto al mercato del pesce che sorge qui tra l’inizio del Medioevo e la fine dell’Ottocento.
Nel 1555 papa Paolo IV confina tutti gli ebrei romani in quest’angolo della città, istituendo il ghetto ebraico più antico del mondo dopo quello di Venezia. Ancora oggi a maggioranza ebraica, questo luogo è stato testimone di un evento tragico: il Sabato Nero.
LA STORIA
Il 24 settembre del 1943, ad appena due settimane dall’inizio dell’occupazione tedesca di Roma, Herbert Kappler, colonnello delle SS e comandante della Gestapo in città, riceve un messaggio da Heinrich Himmler, ministro dell’Interno della Germania nazista e principale fautore della “soluzione finale”, lo sterminio sistematico degli ebrei d’Europa. Il messaggio dice che tutti gli ebrei romani, senza distinzione di nazionalità, età, sesso e condizione, dovranno essere trasferiti in Germania per essere liquidati.
L’operazione scatta all’alba di sabato 16 ottobre. I nazisti vogliono sorprendere le loro vittime di primo mattino, e per giunta nel giorno festivo dello Shabbat, per catturarne più possibile. Entrano con i camion nel ghetto, chiudendo dietro di loro tutte le uscite. Mentre alcuni uomini rimangono di guardia sulla strada, altri fanno irruzione nelle case, sorprendendo gli sventurati nel sonno. Urlando ordini in tedesco, consegnano alle vittime un biglietto scritto in italiano con le istruzioni da seguire: hanno 20 minuti per preparare le valigie e salire sui camion. Tutti, anche anziani, invalidi e malati. Il biglietto dice che il luogo dove stanno per essere trasferiti è provvisto di un’infermeria. Una bugia. Solo alcuni riescono a sfuggire alla cattura, trovando rifugio in qualche famiglia non ebrea disposta a rischiare la vita per salvarli dallo scempio che si sta consumando.
Il 18 ottobre alla stazione Tiburtina arrivano 1023 cittadini appartenenti alla comunità ebraica di Roma. Ammassati all’interno di carri bestiame, raggiungono il campo di concentramento di Auschwitz dopo quattro giorni di viaggio in condizioni disumane. Solo in sedici sopravviveranno allo sterminio. Quindici uomini e una donna. Nessun bambino.
NELLE VICINANZE
Guardando il Portico d’Ottavia, alle nostre spalle sorge il Tempio Maggiore, la grande Sinagoga di Roma, che ospita al suo interno il Museo ebraico. Prendendo la stradina alla destra del portico, invece, arriviamo in via del Foro Piscario, dove sorge il Teatro di Marcello, inaugurato nel 13 a.C. da Augusto e dedicato a suo nipote Marco Claudio Marcello, figlio di sua sorella Ottavia, morto prematuramente. Di fronte al teatro, le tre colonne che vediamo appartengono al Tempio di Apollo Sosiano, ricostruzione di età augustea di un tempio di Apollo risalente al 431 a.C.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Colosseo
Autobus: 23, 63, 280
ZTL: NO
Tappa successiva: Porta San Paolo 2,1 km
8. Porta San Paolo – piazzale Ostiense (Ostiense)
L’ultimo baluardo della Resistenza
IL LUOGO
Porta San Paolo è l’entrata delle Mura Aureliane al di fuori della quale si trova il quartiere Ostiense. Eretta nel 275 ai tempi del completamento della cinta muraria, si chiamava originariamente Porta Ostiensis, perché da lì iniziava (e tuttora inizia) la via Ostiense, la strada che collega Roma al suo antico porto: Ostia. Oggi ha perso completamente il suo originario ruolo difensivo e la vediamo ergersi isolata al centro di piazzale Ostiense. Il tratto che la collegava alle Mura Aureliane verso destra è stato demolito nel 1920 al fine di agevolare il traffico cittadino. A sinistra, invece, la parte delle mura che la collegava alla Piramide Cestia è stata distrutta durante una battaglia sanguinosa. La battaglia che il 10 settembre 1943 ha visto militari e civili italiani contrastare con tutte le loro forze l’ingresso dei nazisti in città.
LA STORIA
Il 3 settembre 1943 viene firmato l’armistizio con il quale l’Italia si arrende agli alleati. La notizia si diffonde solo l’8 settembre, quando i nazisti hanno già circondato la Capitale, secondo le direttive stabilite da Hitler in caso di defezione dell’alleato italiano. Avanzando lungo la via Ostiense, le truppe tedesche, seppur ostacolate con eroismo da militari e civili italiani, si dirigono verso il cuore della città. Vogliono vendicarsi dei loro ex alleati, ora considerati traditori.
Tuttavia, c’è un ultimo ostacolo che devono superare. A Porta San Paolo, infatti, intorno alle 8 del mattino del 10 settembre, si è attestata una nuova linea di difesa. Qui si preparano a combattere, fianco a fianco, soldati e partigiani. Studenti, impiegati, commercianti, operai: tutti insieme, fino all’ultimo colpo. A lottare insieme a loro c’è anche un partigiano illustre, il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
La battaglia è feroce. Da ogni direzione si sentono arrivare le esplosioni secche delle bombe a mano, quelle laceranti delle granate anticarro, il crepitio rabbioso delle mitragliatrici. Le granate non risparmiano neanche le tombe del Cimitero acattolico, ed è un miracolo che la Piramide Cestia non venga sventrata. Dall’alto delle torri di Porta San Paolo i granatieri sparano senza sosta sui tedeschi che avanzano su via Ostiense. Nel primo pomeriggio gli attacchi dei nazisti si fanno sempre più violenti e le granate iniziano a cadere anche oltre le Mura Aureliane. La disfatta è vicina.
A terra restano 597 eroi, di cui 414 militari e 183 civili. 27 sono donne. Porta San Paolo viene oltrepassata dai tedeschi alle 17:00, dando inizio ufficialmente all’occupazione nazista di Roma, che durerà per 271 interminabili giorni.
NELLE VICINANZE
All’interno di Porta San Paolo possiamo visitare il Museo della via Ostiense, istituito nel 1954 per esporre alcuni dei principali ritrovamenti relativi all’antica strada. Salendo la scala che porta al piano superiore possiamo uscire sul camminamento di ronda, che offre una vista privilegiata sulla Piramide Cestia. Uscendo dalla porta e prendendo via Raffaele Persichetti, se svoltiamo a sinistra in via Caio Cestio raggiungiamo dopo un centinaio di metri l’ingresso del Cimitero acattolico, un angolo romantico immerso nel verde, dove riposano molti personaggi illustri.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Piramide
Autobus: 3NAV, 75
Treno Roma-Lido fermata Roma Porta San Paolo
ZTL: NO
Tappa successiva: Museo Storico della Liberazione 3,2 km
9. Museo Storico della Liberazione – via Tasso, 145 (Esquilino)
Il carcere delle torture naziste
IL LUOGO
Partendo da piazza di San Giovanni in Laterano, dobbiamo lasciarci alle spalle l’obelisco lateranense e proseguire dritti verso via Domenico Fontana. Quando vediamo, alla nostra destra, le imponenti arcate dell’acquedotto Claudio, svoltiamo a sinistra in via Tasso. Percorsi poco più di 100 metri su questa strada, arriviamo al civico 145, sede del Museo Storico della Liberazione.
Sul finire degli anni Trenta questo stabile viene preso in affitto dall’ambasciata tedesca di Roma. Inizialmente ospita alcuni uffici della sede diplomatica, poi, nel 1939, il Centro di cultura germanica. Con l’inizio dell’occupazione di Roma, nel settembre del 1943, il comando nazista vi stabilisce la caserma e il carcere delle SS: il luogo più terribile durante il periodo dell’occupazione nazista.
LA STORIA
Quando Roma cade nelle mani dei nazisti, gli arresti in città sono all’ordine del giorno, eseguiti anche per il minimo sospetto di antifascismo e senza la benché minima prova. Sono numerosi i partigiani che vengono portati nel carcere di via Tasso, dove subiscono le più indicibili torture. Durante i nove mesi di occupazione, in questo edificio vengono rinchiuse circa 2000 persone in condizioni disumane, vessate dalle continue violenze delle SS comandate dal colonnello Herbert Kappler.
Le celle sono buie e maleodoranti, senza letti. Il pasto quotidiano è uno solo, una brodaglia disgustosa preparata con avanzi di ortaggi, spesso marci. Chi durante la distribuzione del rancio ha la sfortuna di trovarsi sotto interrogatorio, o peggio sotto tortura, salta il pasto e rimane a digiuno. Stessa sorte tocca a chi si trova in isolamento. La fame viene utilizzata come ricatto per ottenere le confessioni. Le SS sorvegliano giorno e notte i detenuti, che non possono parlare ad alta voce tra loro, soprattutto con gli sventurati che ritornano dagli interrogatori coi volti gonfi e lividi, le costole rotte, la dignità ridotta a brandelli. Qualcuno non torna affatto in cella e muore direttamente sotto le mani degli aguzzini. Regolarmente, qualcuno viene prelevato dalle celle per essere giustiziato. Alcuni dei 335 uomini che vengono trucidati alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944 provengono proprio da qui.
Questo scempio termina solo il 4 giugno 1944, con la liberazione di Roma da parte delle truppe alleate. Alla vigilia dell’arrivo degli americani, i tedeschi abbandonano via Tasso portando con loro un camion di prigionieri, fucilati poco fuori Roma, a La Storta. I detenuti rimasti nel carcere, invece, vengono liberati dalla popolazione.
NELLE VICINANZE
Trovandoci qui, possiamo visitare il Museo Storico della Liberazione. Entriamo nelle stanze in cui si sono scritte alcune delle pagine più vergognose dell’occupazione nazifascista di Roma. All’interno delle celle possiamo vedere ancora le memorie e i graffiti originali lasciati dai prigionieri dopo essere stati torturati o prima di venir giustiziati. Il Museo è un luogo di primaria importanza per comprendere il sacrificio di uomini e donne che hanno dato la vita pur di non piegarsi alla dittatura nazifascista.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermata Manzoni
Autobus: 3NAV, 51
ZTL: NO
Tappa successiva: Il “nido di vespe” 4,9 km
10. Il “nido di vespe” – via del Monte del Grano (Quadraro)
L’Operazione balena nella roccaforte partigiana
IL LUOGO
Questa tappa ci porta nel quadrante sud-est di Roma, all’interno del quartiere Tuscolano, più precisamente nella zona conosciuta come Quadraro. Dalla fermata della metro di Porta Furba, sulla via Tuscolana, si deve attraversare la strada e prendere la stradina sulla destra, via dei Lentuli, per poi svoltare, dopo 50 metri, sulla destra in via del Monte del Grano. Alla nostra sinistra c’è un lungo muro dipinto dove sono raffigurate sette enormi vespe. Si tratta dell’opera intitolata “Nido di Vespe”, realizzata nel 2014 dallo street artist romano Lucamaleonte, in occasione del settantesimo anniversario del rastrellamento del Quadraro. Un’opera dedicata all’orgoglio di questo quartiere ribelle che si oppose come nessun altro all’invasione nazista, tanto da meritare la medaglia d’oro al valor civile.
LA STORIA
È l’alba del 17 aprile 1944 quando scatta l’Operazione Balena. Le truppe naziste guidate dal tenente colonnello delle SS, Herbert Kappler, circondano il Quadraro. Il “nido di vespe”, come lo chiamano loro, perché garantisce rifugio e protezione a molti partigiani: soprattutto perseguitati politici e renitenti alla leva che scappano dalla repressione nazifascista. Questo quartiere popolare e povero rappresenta una vera roccaforte per gli antifascisti romani. Lo stesso console tedesco a Roma, Eitel Friedrich Moellhausen, scriverà nelle sue memorie: “Chi voleva sfuggirci aveva solo due possibilità: o il Vaticano o il Quadraro”. Nessun nazifascista si azzarda a percorrere le strette stradine di questa zona, per paura delle improvvise imboscate, almeno fino a quel maledetto 17 aprile.
L’episodio che serve da espediente per rastrellare il quartiere è avvenuto una settimana prima. Il 10 aprile, lunedì di Pasqua, in una trattoria delle vicinanze la banda di Giuseppe Albano, detto il gobbo del Quarticciolo, aveva ucciso tre soldati tedeschi. Kappler è deciso a punire i ribelli e per farlo ha predisposto un numero impressionante di uomini e di mezzi. Chiuse tutte le strade e le uscite del quartiere, iniziano le perquisizioni, che passano al setaccio casa per casa.
Vengono portati via oltre 2000 uomini tra i 16 e i 55 anni, ammassati in un campo di detenzione provvisorio allestito nei vicini studi di Cinecittà. Dopo la selezione, oltre 700 vengono fatti salire su un treno e deportati nei campi di concentramento di Austria, Germania, Polonia e nei territori occupati dai nazisti, in condizioni disumane. Alla fine della guerra solo la metà di loro farà ritorno al Quadraro.
NELLE VICINANZE
Proseguendo per circa 200 metri su via del Monte del Grano, arriviamo in piazza dei Tribuni. Sulla sinistra si apre un cancello che dà accesso a un parco pubblico, al cui interno si erge una piccola collina ricoperta dalla vegetazione. È il mausoleo di Monte del Grano, attribuito all’imperatore Alessandro Severo (222-235 d.C.) perché all’interno è stato rinvenuto un sarcofago che lo raffigura. Vi si accede tramite un portale che immette in un corridoio rivestito di mattoni lungo 21 metri, attraverso il quale si raggiunge una camera sepolcrale circolare coperta a volta.
INFORMAZIONI UTILI
Metro A: fermata Porta Furba
Autobus: 590, 657
ZTL: NO
Info di servizio: Il mausoleo è visitabile secondo il calendario pubblicato sul sito www.sovraintendenzaroma.it