Dai primi uomini alle leggende dei sette re
Dall’alto di Monte Mario faremo un salto nell’epoca in cui il territorio di Roma era sommerso da un mare tropicale mentre, giunti a Casal de’ Pazzi, scopriremo gli animali da savana che popolavano la città nel Pleistocene. Al Drugstore Museum conosceremo il Guerriero della Muratella, sepolto 5 mila anni fa insieme alle sue armi, il cui scheletro si è incredibilmente conservato, per poi salire sul Palatino, luogo prescelto per il primo insediamento stabile della città.
Ripercorreremo i luoghi di storie antiche quanto la città stessa, che ancora oggi portano il nome dei loro protagonisti, come Ponte Tazio e la Rupe Tarpea.
Roma nacque sotto il segno della guerra, combattendo i popoli vicini per sopravvivere: alcuni sconfiggendoli – come gli abitanti di Antemnae, la città che sorgeva dove oggi c’è Villa Ada – altri accogliendoli, come i sabini, la cui unione con i romani rese la città ancora più forte.
È in questo periodo che Roma diventa crocevia di culture e tradizioni di cui si trova traccia nei templi dell’area sacra sorta accanto al primo porto fluviale della città, il Portus Tiberinus.
La Roma dei sette re ci ha lasciato straordinarie leggende e questo primo percorso di StoryWalk ci porterà nei luoghi in cui sono nate. Alcune di queste sono a lieto fine, come quella di re Numa Pompilio e del suo matrimonio con una ninfa in un bosco sacro ai piedi del Celio. Altre non lo sono affatto, come quella di re Servio Tullio ucciso da un piano ordito dalla sua stessa figlia sulla scalinata di Vicus Sceleratus, l’attuale via di San Francesco di Paola.
Ascolta “1 Preistoria e Roma arcaica” su Spreaker.
1.Drugstore Museum – Via Portuense 317 (Portuense)
Dove riposa il Guerriero della Muratella
IL LUOGO
A prima vista questo tratto di via Portuense non ha nulla che faccia pensare a qualcosa di antico. Automobili, negozi e murales ne fanno uno scenario decisamente moderno. Eppure, sotto il piano stradale, sono conservati i resti di una necropoli di età imperiale che custodisce tombe decorate con mosaici, affreschi e stucchi che risalgono a un periodo compreso tra I e IV secolo d.C.
Ma ciò che sorprende di più è sapere che, oltre alle tombe di età imperiale, qui possiamo ammirarne da vicino una molto più antica, addirittura preistorica.
Basta oltrepassare l’ingresso del civico 317, sede del Drugstore Museum, per immergersi in un ambiente senza tempo, che ci catapulta in un’epoca lontana. Un’epoca in cui i gruppi di sapiens che frequentano il territorio romano si aggirano da queste parti alla ricerca di una nuova preda da cacciare per sopravvivere.
LA STORIA
È il 2006 quando a pochi chilometri da qui – sul poggio della Muratella, nella zona della Magliana Vecchia – viene rinvenuto lo scheletro di un Homo sapiens vissuto tra il 3700 e il 2300 a.C., durante il periodo in cui si sviluppano le prime tecniche di lavorazione dei metalli: l’Età del rame.
Ha circa 25 anni al momento della sua morte. I membri della sua tribù decidono di seppellirlo insieme al suo corredo di armi, composto da alcune punte di freccia di differenti dimensioni, una lama di accetta e altri utensili in selce e in rame. È per questo motivo che è noto come “Guerriero della Muratella”. Il suo scheletro, deposto in posizione rituale, è circondato da tracce di decorazioni fatte con un prezioso colorante naturale, il rosso cinabro del Monte Amiata, in Toscana. Questa particolarità, insieme alla presenza di utensili in rame – elemento altrettanto prezioso – ci suggerisce che quest’individuo fosse un membro di spicco all’interno della sua comunità di sapiens. Forse proprio il capotribù. Non solo: il fatto che sia stato sepolto insieme agli oggetti che utilizzava in vita ci comunica che probabilmente la sua tribù credeva in una sorta di vita dopo la morte.
Il Guerriero della Muratella ha diverse analogie con il più famoso uomo del Similaun. Noto in tutto il mondo con il nomignolo di Ötzi, il sapiens altoatesino è vissuto nella stessa epoca di quello che riposa nel museo di via Portuense e anche lui aveva con sé armi in rame e selce al momento della sua morte. Tuttavia c’è una caratteristica in particolare che non li accomuna affatto: la popolarità. Mentre Ötzi è noto in tutto il mondo, del Guerriero della Muratella molti ignorano l’esistenza, persino nel quartiere in cui è conservato. Un motivo in più per venire fin qui a scoprirlo.
NELLE VICINANZE
Tra le altre tombe della necropoli Portuense conservate nel museo, particolarmente degna di nota è la “tomba A”, che ha il pavimento decorato da un mosaico in cui è raffigurato l’episodio della mitologia greca in cui la ninfa Ambrosia si trasforma in tralcio di vite per sfuggire al suo aggressore. A pochi passi dal museo, accanto al ristorante La Carovana, c’è la necropoli di Vigna Pia, costituita da una tomba collettiva (colombario) e dal sepolcro familiare di Atilia Romana, una donna di cui resta l’iscrizione del nome e un mosaico che la ritrae.
Il Drugstore Museum è aperto lun-ven dalle 14:30 alle 19:30, sab-dom dalle 10:00 alle 19:00.
INFORMAZIONI UTILI
Metro: fermata Garbatella
Autobus: 718,170, 792,791
ZTL: NO
Tappa successiva: Santa Maria in Tempulo 4,2 km
Info di servizio: Il Drugstore Museum è aperto lun-ven dalle 14:30 alle 19:30, sab-dom dalle 10:00 alle 19:00
2. Bosco Sacro – via di Valle delle Camene (Celio)
La leggenda del re che amò la ninfa
IL LUOGO
Percorrendo via delle Terme di Caracalla, all’altezza di largo Cavalieri di Colombo, si scorge tra le fronde quello che a prima vista sembra un piccolo casale di campagna. In realtà è una chiesa sconsacrata, Santa Maria in Tempulo, definizione legata all’esistenza nelle vicinanze di un tempio del II secolo a.C. dedicato a Ercole e alle Muse.
Siamo all’interno del parco di Porta Capena, una stretta valle alberata incastonata tra i colli Celio, Aventino e Palatino. Una valle legata alle Muse fin dalle origini stesse di Roma. Se ci guardiamo intorno possiamo osservare diverse specie di alberi, ma in tempi antichissimi questo luogo ospitava un bosco con grotte e sorgenti d’acqua. Era il bosco sacro alle Camene, ninfe delle sorgenti, assimilate dai romani proprio alle Muse greche. La più celebre di loro si chiama Egeria e il suo mito è nato proprio qui.
LA STORIA
Il mito di Egeria risale all’epoca del regno di Numa Pompilio (715 a.C. – 673 a.C.), il secondo re di Roma. Uomo pacifico e profondamente rispettoso delle divinità, Numa viene riconosciuto dalla tradizione come il fondatore della religione romana e delle sue principali istituzioni sacre.
Si narra che avesse l’abitudine di vagare da solo nei boschi qui intorno, intento a decifrare i segni delle divinità per prendere le decisioni più sagge e favorevoli per il suo popolo. È proprio durante una di queste passeggiate che avviene l’incontro con Egeria, dal cui canto melodioso e divino il re rimane rapito. Anche Egeria è affascinata da Numa e dal suo spirito saggio, tanto che decide di diventare la sua consigliera fidata, rivelandogli i segreti delle divinità e suggerendogli i modi più efficaci per governare la città.
Con il tempo tra il re e la ninfa nasce un vero e proprio amore, sancito da un matrimonio felice e duraturo che s’interrompe solo con la morte del sovrano, che si spegne sereno a più di ottant’anni. Alla notizia della sua morte, Egeria scoppia in un pianto inconsolabile, vagando disperata negli stessi boschi che avevano visto nascere quell’amore. Il poeta Ovidio racconta che gli dèi, impietositi dal suo dolore, decisero di trasformarla in una fonte sacra, identificabile con quella che si trova a Porta Capena, a due passi da qui. L’eco di questa leggenda è talmente forte che, dopo oltre due millenni e mezzo, i luoghi dove si è svolta portano ancora i nomi dei suoi protagonisti. La strada che attraversa il parco, infatti, si chiama via di Valle delle Camene, mentre il piazzale che si apre alla fine del parco è intitolato a Numa Pompilio.
Luoghi in cui, in un tempo lontano, una ninfa e un re si innamorarono.
NELLE VICINANZE
Sono davvero tanti i luoghi che da qui si possono raggiungere facilmente per un viaggio nella storia. A due passi ci sono le Terme di Caracalla, uno dei più grandi esempi di impianto termale antico, mentre proseguendo per poche centinaia di metri verso piazza di Porta Capena siamo al Circo Massimo. Se si vuole scoprire uno dei colli più suggestivi di Roma basta salire sul Celio e visitare le sue meravigliose chiese, oppure fare una passeggiata a Villa Celimontana, o ancora visitare la casa-museo di Alberto Sordi, all’inizio di via Druso.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Circo Massimo
Autobus: 118, 628
ZTL: NO
Tappa successiva: Le Capanne del Palatino 1,3 km
3. Le Capanne del Palatino – via di San Gregorio, 30 (Palatino)
Il villaggio di capanne all’origine di Roma
IL LUOGO
Entrando nel parco archeologico del Palatino da via di San Gregorio 30, dopo aver superato gli edifici innalzati dagli imperatori, si arriva all’altezza della casa di Augusto. Proprio lì, coperto da tettoie, si nasconde il sito più antico di Roma. Ospita il primo villaggio di capanne della città, costruito intorno al 1000 a.C. da uomini che scelgono di stabilirsi su questo colle per poter controllare il corso del Tevere dall’alto.
Qui ha inizio la storia di Roma. A pochi passi dalle capanne, infatti, si trova il Lupercale, la grotta in cui Romolo e Remo vengono allevati da un lupa. È su questo colle che nel 753 a.C. Romolo fonda la sua città, e da quel momento il Palatino diventa un luogo sacro, sede di templi di divinità e di residenze imperiali. Il termine stesso di “palazzo” deriva proprio da Palatium, il nome del colle su cui ci troviamo.
LA STORIA
Rinvenute nel 1946, le capanne del Palatino non hanno l’aspetto che si potrebbe immaginare. Infatti qui non si vede nessuna capanna, ma solo alcuni fori disposti in maniera irregolare sul pavimento roccioso. Tuttavia, quelli che ai nostri occhi appaiono come dei semplici buchi sul terreno, ci parlano di una storia antica 3000 anni. Basta saper leggere gli indizi.
Per costruire le loro capanne, i primi abitanti del Palatino livellano il suolo tufaceo ottenendo una superficie piana, dopodiché scavano una buca centrale e diverse altre buche disposte a una certa distanza intorno alla prima. Servono per alloggiare i pali di legno che sosterranno rispettivamente il tetto e le pareti della capanna, ottenute impastando fango, paglia e canne. Altre buche davanti all’ingresso ospitano i pali che sorreggono una sorta di tettoia spiovente, mentre all’interno viene sistemato un focolare, il cui fumo esce da un’apertura ricavata sul tetto. Tutto intorno alla capanna, poi, viene scavata una canaletta che serve per isolarla e per permettere il deflusso delle acque piovane. Sono fatte così le prime abitazioni di Roma.
Sembra impossibile ricostruire tutti questi particolari partendo da semplici buche nella roccia. In realtà gli archeologi ci sono riusciti mettendo in relazione queste tracce con alcune urne cinerarie dello stesso periodo rinvenute nella vicina necropoli arcaica del Foro romano – dette non a caso “a capanna” – che imitano in tutto e per tutto la casa del defunto di cui contengono le ceneri. Grazie a questi reperti si è riusciti ad avere un’idea di come doveva apparire l’abitato protostorico del Palatino, come si vede nel plastico ricostruttivo esposto nel museo che si trova a pochi passi da qui.
NELLE VICINANZE
Questo angolo del Palatino è ricco di altre eccezionali testimonianze archeologiche. Oltre al Lupercale, proprio attorno alle capanne ci sono i resti del tempio della Vittoria e di quello di Magna Mater, primo culto orientale a essere introdotto a Roma, nonché la casa di Augusto e quella di Livia, che conservano preziosissime decorazioni dipinte. Per non parlare delle architetture dei palazzi degli imperatori, dello stadio Palatino e degli Orti farnesiani, dai quali si scende nella valle del foro, cuore pulsante dell’antica Roma.
Per accedere al sito è necessario acquistare il biglietto on-line sul sito www.parcocolosseo.it ed entrare dall’ingresso situato in via di San Gregorio, 30 in base all’orario di prenotazione (apertura ore 9:00 – chiusura variabile in base alla stagione).
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermate Circo Massimo o Colosseo
Autobus: 51, 81, 85, 87, 118, 160, 628, 715, C3
ZTL centro storico
Diurna: lun – ven dalle 6:30 alle 18:00 (esclusi festivi)
sab dalle 14:00 alle 18:00 (esclusi festivi)
Notturna: ven e sab dalle 23:00 alle 3:00 (esclusi i festivi, non attiva ad agosto)
Tappa successiva: Area Sacra di Sant’Omobono 1,7 km
Info di servizio: Accessibile su prenotazione (parcocolosseo.it), ingresso via di San Gregorio 30
4. Area Sacra di Sant’Omobono – vico Jugario (Ripa- Aventino)
La più antica piazza multietnica di Roma
IL LUOGO
Siamo all’incrocio tra vico Jugario e via Petroselli, nell’area archeologica che circonda la chiesa di Sant’Omobono, considerata sacra fin da tempi antichissimi. La chiesa che dà il nome al sito risale al 1482, ma non è che il più recente di una serie di edifici di culto, prima pagani e poi cristiani, sorti nella piazza, a partire dagli albori della storia di Roma.
Secondo fonti storiche è stato il sesto re di Roma, Servio Tullio (578 a.C. – 535 a.C.), a volere per primo la costruzione di due templi in questo luogo, uno dedicato alla dea Fortuna e un altro consacrato a Mater Matuta, una divinità legata alla navigazione e spesso associata alla stella del mattino, punto di riferimento per orientarsi in mezzo al mare.
Ma cosa c’entra il mare con questa zona della città? Per scoprirlo dobbiamo tornare indietro di oltre duemila e cinquecento anni.
LA STORIA
Il vico Jugario ricalca una strada antichissima, forse più antica della stessa Roma, che collegava il cuore della città al suo primo porto fluviale, situato all’altezza della punta meridionale dell’Isola Tiberina, a due passi da qui, dove oggi si trova il Palazzo dell’anagrafe.
Già poco tempo dopo la fondazione della città, quest’area era un vero e proprio crocevia di uomini e merci provenienti da tutto il Mediterraneo.
Nell’area sacra in cui ci troviamo, infatti, sono stati rinvenuti materiali d’importazione etrusca e greca databili alla prima metà del VI secolo a.C., tra cui un’iscrizione considerata la più antica testimonianza di una presenza etrusca certa a Roma. Se vogliamo vedere questi straordinari reperti da vicino, basta fare poche centinaia di metri e raggiungere il Palazzo dei Conservatori dei Musei Capitolini.
Tornando alla storia, mercanti etruschi e greci, ma anche fenici e cartaginesi, entrati con le loro imbarcazioni dal porto di Ostia, risalgono il Tevere controcorrente per approdare su queste rive, dove scambiano i prodotti delle loro terre con i mercanti romani. Insieme alle merci entrano in città anche le idee, le usanze e le credenze di popoli lontani anche migliaia di chilometri, facendo di questo luogo la più antica piazza multiculturale di Roma. La giovane città entra così nei circuiti commerciali antichi.
I templi di Fortuna e Mater Matuta vengono edificati proprio davanti al porto per sottolineare la crescente importanza commerciale di Roma, assolvendo alla funzione di santuario internazionale dove, come in tutti i porti del Mediterraneo antico, i mercanti ringraziano le divinità per il viaggio andato a buon fine e fanno offerte per un ritorno altrettanto fortunato in patria.
NELLE VICINANZE
Proseguendo su via Petroselli si arriva a piazza della Bocca della Verità dove, all’interno del portico della chiesa di Santa Maria in Cosmedin, si trova il famoso mascherone all’interno della cui bocca – secondo la leggenda – si inserisce la mano per mettere alla prova la propria sincerità. Sulla stessa piazza, dal lato del fiume, ci sono due straordinari templi antichi. Quello circolare, del II sec. a.C., è dedicato a Ercole Vincitore, mentre quello a pianta rettangolare, ancora più antico, è consacrato al dio Portuno, figlio di Mater Matuta e protettore dei porti.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermate Circo Massimo o Colosseo
Autobus: H, 30, 44, 81, 83, 85, 86, 118, 160, 170, 628, 715, 716, 781, C3
ZTL: NO
Tappa successiva: La Rupe Tarpea 110 m
Info di servizio: È possibile prenotare la visita in date specifiche, prenotando al numero 06 0608
5. La Rupe Tarpea – piazza della Consolazione (Campidoglio)
La punizione della sacerdotessa traditrice
IL LUOGO
Camminando per poco più di cento metri dalla tappa precedente, arriviamo ai piedi della scalinata della chiesa di Santa Maria della Consolazione. Sulla sinistra, sul versante meridionale del Campidoglio, c’è uno sperone roccioso circondato dalla vegetazione.
Nonostante ci si trovi in una piazza apparentemente anonima, dobbiamo sapere che siamo al cospetto di un luogo mitico, che fa parte della storia della città fin dalla sua fondazione. Stiamo parlando della Rupe Tarpea, teatro di uno dei misfatti più antichi che Roma ricordi.
LA STORIA
Della storia che stiamo per raccontare esistono diverse versioni, la più antica delle quali è quella che Tito Livio racconta nel primo libro della sua opera Ab Urbe condita.
Siamo ai tempi del regno di Romolo (753 a.C. – 716 a.C.), poco dopo il celebre episodio del ratto delle sabine. Tarpea è una giovane vergine sacerdotessa della dea Vesta, figlia di Spurio Tarpeo, il comandante romano che ha il compito di difendere la roccaforte del Campidoglio dagli attacchi dei nemici. Attacchi che non si fanno attendere, perché il re sabino Tito Tazio è intenzionato a vendicarsi e a marciare in armi su Roma per riprendersi quello che gli spetta.
Per riuscire a impossessarsi del Campidoglio, Tito Tazio escogita un piano proponendo a Tarpea di tradire i suoi concittadini e lasciare entrare l’esercito sabino nella roccaforte capitolina. Per convincere la giovane, le promette che verrà ripagata con ciò che i sabini portano al braccio sinistro.
Tarpea accetta, convinta che Tazio si riferisca ai preziosi bracciali dei suoi uomini. Ma appena i sabini hanno via libera, si impossessano del Campidoglio e uccidono Tarpea seppellendola sotto una pioggia di pesantissimi scudi. Si tratta di un inganno. In un certo senso, però, Tazio è stato fedele ai patti stretti con Tarpea, consegnandole in effetti ciò che i sabini portano al braccio sinistro: non i bracciali, ma gli scudi.
Come sia andata veramente la vicenda nessuno può dirlo. Sta di fatto che da quel giorno in poi la rupe che porta il nome della sfortunata sacerdotessa viene utilizzata dai romani come altura da cui gettare i traditori della patria.
NELLE VICINANZE
Di luoghi straordinari qui intorno ce ne sono a decine. Quello più vicino è piazza del Campidoglio, progettata da Michelangelo e sede dei Musei Capitolini, il luogo dove sono custodite centinaia di magnifiche opere d’arte. Per raggiungerli basta salire le scale proprio sotto la Rupe Tarpea e proseguire la salita di via Monte Tarpeo. Alla fine della salita, appena prima di svoltare a sinistra per la meravigliosa piazza, si aprirà ai nostri occhi una vista panoramica straordinaria sul Foro Romano.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Colosseo
Autobus: H
ZTL: NO
Tappa successiva: Vicus Sceleratus 1,3 km
6. Vicus Sceleratus – via di San Francesco di Paola (Monti)
La figlia del re che passò sul cadavere del padre
IL LUOGO
Ci troviamo sulla scalinata che si apre all’altezza del civico 256 di via Cavour. Nonostante sia uno degli angoli più suggestivi e romantici di Roma, sovrastato da un grazioso palazzetto ricoperto da un meraviglioso manto di edera, su questi gradini si è consumato un delitto orribile. Un delitto antichissimo, avvenuto all’epoca del sesto re di Roma, in seguito al quale questo luogo sarà conosciuto col terribile nome di Vicus Sceleratus.
La sua fama sinistra ha attraversato il tempo, tanto che il secondo nome con cui è conosciuto, Salita dei Borgia, è legato ad altri fatti delittuosi. La tradizione popolare, infatti, vuole che nel palazzo di fronte a noi siano avvenuti molti degli intrighi e dei crimini legati a questa famiglia, come quelli di Lucrezia, che uccideva i suoi amanti dopo averli posseduti, facendo scivolare i loro cadaveri da una botola.
LA STORIA
Siamo nel 535 a.C., quando Roma è governata dal suo sesto re, Servio Tullio. Ormai in età avanzata, questi decide di far maritare le sue due figlie, Tullia maggiore e Tullia minore, ai due figli del suo predecessore Tarquinio Prisco, Lucio e Arunte. Per uno strano scherzo del destino, Tullia maggiore – di carattere mite – sposa il prepotente Lucio, mentre la perfida Tullia minore va in moglie al pacifico Arunte.
Le cose tra loro non funzionano, tanto che Tullia minore comincia a frequentarsi di nascosto con suo cognato Lucio, più ambizioso e degno di diventare un giorno il nuovo re di Roma. Così, tra un incontro fedifrago e l’altro, Tullia minore riesce a convincere Lucio a uccidere i rispettivi coniugi per potersi finalmente sposare con lei e ambire al trono. Il re non si oppone alle nuove nozze, ma in cuor suo sa che non porteranno a nulla di buono.
E infatti qualche tempo dopo, istigato da Tullia, Lucio irrompe nella Curia e si siede sul trono di Servio. Quando il vecchio re viene avvertito, raggiunge la Curia urlando all’usurpatore come abbia potuto sedersi sul suo trono mentre lui è ancora in vita. Per tutta risposta Lucio afferra Servio e lo getta giù dalla scalinata della Curia, proprio quella su cui ci troviamo ora. Il re cerca di rialzarsi ma viene subito raggiunto dai sicari di Lucio, che lo finiscono senza pietà. In quel momento Tullia passa con il suo cocchio davanti al cadavere di suo padre e, con infinita crudeltà, ordina al cocchiere di travolgerlo.
Il piano diabolico della coppia si è compiuto e Lucio può finalmente diventare re di Roma, l’ultimo, passato alla storia col nome di Tarquinio il Superbo.
Dopo questo episodio, il luogo dell’omicidio di Servio Tullio sarà conosciuto da tutti come Vicus Sceleratus.
NELLE VICINANZE
Salendo la scalinata si esce su piazza di San Pietro in Vincoli, la chiesa che conserva in un reliquiario le catene originali che tenevano prigioniero l’apostolo nel carcere Mamertino. Nella stessa chiesa si può vedere gratuitamente una delle più grandiose opere della scultura rinascimentale: il Mosè di Michelangelo. Se invece preferiamo scendere la scalinata, basta attraversare via Cavour per entrare nell’antico quartiere malfamato della Suburra, luogo di nascita di Giulio Cesare, oggi zona molto in voga e piena di locali dove fermarsi a fare una pausa.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Cavour
Autobus: 75, 117
ZTL: NO
Tappa successiva: Belvedere di Monte Mario 6,2 km
7. Belvedere di Monte Mario – viale del Parco Mellini, 88 (Trionfale)
Un paesaggio plasmato da acqua e fuoco
IL LUOGO
Percorrendo viale del Parco Mellini, superato l’ingresso dell’osservatorio astronomico, si arriva su un piccolo piazzale con un tabaccaio sulla destra. Sebbene ci troviamo solo a circa 140 metri sul livello del mare, siamo sull’altura più elevata di Roma. Un’altitudine modesta, che tuttavia restituisce un panorama unico su tutta la città.
Un panorama in gran parte modificato dall’uomo ma che non sarebbe potuto esistere se non ci fosse stato un elemento naturale che è stato fondamentale per la nascita e lo sviluppo della città che si estende a perdita d’occhio di fronte a noi: il Tevere. Il suo corso non è stato sempre quello che vediamo. Diverse volte il fiume ha dovuto cambiarlo, in un caso proprio a causa della formazione della modesta montagna su cui ci troviamo.
LA STORIA
Immaginando di essere su questa terrazza nel bel mezzo del Pliocene, circa quattro milioni di anni fa, non vedremmo il Tevere seguire il corso che osserviamo oggi. A dire il vero non vedremmo affatto il Tevere e neanche potremmo essere sul belvedere di Monte Mario, visto che tutta l’area si trova sotto le acque di un mare tropicale. Il primo a capirlo è Leonardo da Vinci, il quale si reca spesso qui per raccogliere e studiare i fossili dei molluschi marini che affiorano sul terreno, da lui definiti “nicchi”, ovvero conchiglie.
Monte Mario comincia a emergere dall’acqua all’inizio del Pleistocene, circa due milioni di anni fa, quando il mare si ritira verso ovest lasciando il posto a terre fertili ricoperte da foreste e praterie. Protagonista di questo territorio è un grande corso d’acqua, il Paleotevere, antenato del fiume che vedrà nascere Roma. Scorre da nord verso sud e sfocia con un vasto delta nell’attuale zona di Ponte Galeria, depositando verso valle i materiali che riesce a erodere lungo il suo percorso, plasmando così il paesaggio.
Successivamente, i movimenti della crosta terrestre provocano un generale sollevamento del territorio, tanto che Monte Mario diventa sempre più imponente, arrivando a sbarrare la strada al Paleotevere. Il fiume è costretto quindi a modificare il suo corso, facendosi strada verso sud per sfociare lungo il litorale oggi compreso tra Anzio e Lavinio.
L’ultima grande variazione del corso del fiume, che lo porta a sfociare tra Ostia e Fiumicino, è dovuta alle successive eruzioni dei due vulcani intorno a Roma, dove oggi sorgono i placidi laghi di Albano e di Bracciano. I materiali vulcanici, depositandosi, hanno infatti modellato la campagna romana fino a darle la morfologia che conosciamo oggi.
NELLE VICINANZE
Il panorama che si osserva dall’alto di Monte Mario è davvero spettacolare. Partendo da via Gomenizza, si possono prendere diversi sentieri che portano fino in cima, attraverso una piacevole passeggiata. Giunti al primo slargo, all’altezza di Villa Mazzanti, si trova uno dei primi punti panoramici, mentre continuando a camminare si giunge ai piedi dell’Osservatorio astronomico, nei pressi del quale si trova la torre del Primo meridiano d’Italia, che da fine Ottocento segna il punto dal quale vengono calcolate tutte le latitudini italiane.
INFORMAZIONI UTILI
Metro: NESSUNA METRO
Autobus: 913, 913L, 69
ZTL: NO
Tappa successiva: Antemnae 6 km
8. Antemnae – via del Forte Antenne (Villa Ada, Trieste-Salario)
Una città antichissima dentro Villa Ada
IL LUOGO
Svoltando su via di Ponte Salario – davanti all’ingresso della moschea – proseguiamo su via del Forte Antenne, il cui nome ricorda l’edificio eretto qui alla fine dell’Ottocento per la difesa della città.
In realtà le potenzialità difensive di questo luogo erano state già sfruttate molto tempo prima, addirittura precedentemente alla fondazione di Roma, quando qui sorgeva l’oppidum (villaggio fortificato) di Antemnae. La sua importanza strategica è evidente già all’analisi del suo nome (dal latino ante amnes, ovvero “davanti ai fiumi”), per sottolineare la sua posizione nel punto in cui l’Aniene si getta nel Tevere.
Questa caratteristica l’ha sempre reso un luogo ambito, tanto che Plinio il Vecchio ne parla come una delle più antiche città del Lazio, mentre Virgilio la annovera nell’Eneide come nemica dei troiani sbarcati sulle coste laziali.
LA STORIA
Il principale episodio storico che riguarda Antemnae si inserisce nella vicenda relativa al famoso ratto delle sabine. Dopo aver fondato Roma, secondo quanto scrive Tito Livio, Romolo si preoccupa di stringere alleanze con le città vicine per assicurarsi donne con cui popolare la neonata città, composta in gran parte da guerrieri senza moglie. La richiesta non ottiene il successo sperato e gli ambasciatori romani tornano a casa a mani vuote. Fatto passare qualche tempo, Romolo organizza dei giochi solenni in onore del dio Conso e, fingendo di non provare alcun risentimento, invita agli spettacoli gli stessi popoli che avevano rifiutato la sua amicizia.
Tra coloro che giungono nella valle dove più tardi sorgerà il Circo Massimo, non ci sono – come molti credono – solo i sabini, ma anche altri popoli, tra i quali proprio gli antemnati. Mentre tutti sono distratti dai festeggiamenti, a un segnale prestabilito, i soldati romani estraggono le armi e prendono in ostaggio le vergini straniere, lasciando fuggire uomini, donne sposate e bambini.
Sdegnati dall’affronto ricevuto, gli antemnati insorgono contro Roma per vendicare le proprie donne, ma subiscono una pesante sconfitta. Romolo a questo punto non si accontenta di una sola battaglia vinta, ma insegue i nemici fino ad Antemnae, conquistandola definitivamente e ripopolandola con trecento coloni romani. Sappiamo che questo episodio è avvenuto tra 752 e 751 a.C., perché è stato scolpito a imperitura memoria nei fasti trionfali, l’elenco che riporta tutti i generali vittoriosi dalla fondazione di Roma conservato nei Musei Capitolini, con queste parole: “Romolo, figlio di Marte, re, trionfò per la seconda volta sugli abitanti di Antemnae”.
NELLE VICINANZE
Possiamo approfittare per fare una passeggiata alla scoperta di Villa Ada e dei suoi sentieri immersi nella natura. Se si preferisce fare un altro tuffo nella storia, invece, basta raggiungere via Salaria 430, accesso alle catacombe di Priscilla, un labirinto di gallerie scavato tra II e V secolo per ospitare migliaia di sepolture, alcune delle quali decorate da affreschi che rappresentano formidabili testimonianze dell’arte e della cultura paleocristiana, tra cui una delle prime immagini in assoluto della Madonna con bambino.
INFORMAZIONI UTILI
Metro: NESSUNA METRO, stazione ferroviaria Campi Sportivi
Autobus: 230
ZTL: NO
Tappa successiva: Ponte Tazio 4 km
9. Ponte Tazio – via Nomentana Nuova (Montesacro)
Quando il re dei sabini sfidò Roma
Ascolta “Ponte Tazio” su Spreaker.
IL LUOGO
Come è facile intuire, il ponte su cui ci troviamo non è antico. Fu costruito nel 1927 per collegare piazza Sempione e la neonata “città giardino Aniene” con la via Nomentana e quindi con il centro di Roma. Oggi la zona è una delle più vivaci della città, frequentata ogni sera da centinaia di ragazzi, molti dei quali forse non si sono mai chiesti chi sia il personaggio a cui è intitolato il ponte che attraversano quotidianamente.
Si tratta di un personaggio leggendario, legato a doppio filo con il mito della fondazione stessa di Roma: Tito Tazio, il potente re sabino proveniente dall’antichissima città di Cures. Ma perché il suo nome è ricordato proprio in questo punto della città? Per scoprirlo dobbiamo tornare al tempo in cui queste terre oltre il fiume Aniene non facevano ancora parte di Roma, ma erano sotto il controllo del popolo dei sabini.
LA STORIA
Come abbiamo visto nella tappa precedente, dopo l’episodio del ratto delle sabine i popoli ingannati da Romolo muovono in armi verso Roma per vendicare l’affronto subito. L’esercito romano sbaraglia facilmente i popoli minori, conquistando le rispettive città. I sabini non reagiscono d’istinto come gli altri, ma organizzano la vendetta in un modo più sottile. Guidati da Tito Tazio, attraversano l’Aniene proprio nel punto in cui ci troviamo ora e, raggiunta Roma, riescono a conquistare la roccaforte del Campidoglio con l’inganno (vedi tappa 5). A questo punto lo scontro tra romani e sabini è inevitabile. Lo storico Tito Livio la definisce “la più importante tra le guerre combattute fino a quel momento”.
I sabini sono schierati sul Campidoglio, i romani sul Palatino. Il campo di battaglia è nella valle in mezzo ai due colli, dove più tardi sarebbe sorto il Foro romano. I due eserciti combattono con pari onore e, prima che entrambi vengano decimati dalle reciproche perdite, le donne sabine, quelle per cui si stava combattendo, decidono di porre fine alla battaglia frapponendosi tra le armi delle opposte fazioni. Da una parte supplicano i mariti romani e dall’altra i padri sabini di porre fine a una guerra che ormai era diventata insensata, visto che i figli che portano in grembo sarebbero stati nipoti dei sabini e figli dei romani.
Così, entrambi gli schieramenti si convincono a deporre le armi e a stipulare un trattato di pace, sancendo l’unione tra i due popoli, da questo momento diventato uno solo e governato da entrambi i re: Romolo e Tito Tazio, il quale è di fatto l’ottavo re di Roma mai compreso nell’elenco tradizionale dei sette re che tutti impariamo nei primi anni di scuola.
NELLE VICINANZE
A pochi metri dal ponte c’è una strada che si chiama via Valdinievole, che ci porta dritti verso l’ansa del fiume Aniene in località Saccopastore, sede di una cava di ghiaia dove, tra il 1929 e 1935, vengono rinvenuti due crani di uomo preistorico. Le analisi hanno dimostrato che entrambi presentano caratteristiche riconducibili all’Uomo di Neanderthal. Inizialmente datati a 150 mila anni fa, un’analisi più recente ha datato i crani a 250 mila anni fa, cosa che li rende i più antichi Neanderthal europei di cui si ha testimonianza.
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Conca d’Oro
Autobus: 60, 66, 82, 86, 90, 211, 211F, 336, 337, 351
ZTL: NO
Tappa successiva: Museo di Casal de’ Pazzi 3,2 km
10. Museo di Casal de’ Pazzi – via Egidio Galbani, 6 (Rebibbia)
Animali da savana nella città preistorica
IL LUOGO
Ci troviamo circondati dai palazzi di un quartiere nato tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Eppure, durante gli scavi per la sua costruzione, sono stati riportati alla luce alcuni dei reperti più antichi rinvenuti nel territorio romano. Questa volta non si tratta di opere realizzate dall’uomo ma di resti paleontologici, relativi a un’epoca assai più remota.
Altri siti a Roma hanno restituito resti preistorici simili, ma nessuno è sopravvissuto fino ai giorni nostri, perché sono andati distrutti con l’urbanizzazione della città. La straordinarietà del sito di Casal de’ Pazzi sta proprio qui: si tratta dell’unica testimonianza di questo tipo ancora visibile a Roma. Una testimonianza che vale davvero la pena di approfondire. Basta oltrepassare la soglia che abbiamo davanti per entrare letteralmente nella preistoria.
LA STORIA
È il maggio del 1981 quando, durante alcuni lavori di sterro, la benna di una ruspa porta alla luce una grossa zanna di elefante. I lavori vengono subito fermati dalla Soprintendenza per avviare uno scavo e uno studio sistematico dei reperti, andato avanti per cinque anni. I risultati sono sensazionali: i paleontologi riescono a stabilire che si tratta di un deposito geologico risalente al Pleistocene medio – circa 200 mila anni fa – sopravvissuto straordinariamente all’opera di distruzione del tempo e dell’uomo. È un tratto del letto di un fiume preistorico sul fondo del quale sono stati rinvenuti migliaia di resti ossei animali e altri reperti trascinati e depositati qui dalle sue acque nel corso dei millenni.
Le ossa animali rinvenute ci catapultano in un paesaggio molto diverso da quello odierno, popolato da specie animali che si fa fatica a credere siano potute vivere intorno a Roma. Eppure, grazie a questi ritrovamenti sappiamo con certezza che da queste parti, circa 200 mila anni fa, vivevano nella natura selvaggia elefanti, rinoceronti, ippopotami, cervi, lupi e perfino iene. In particolare sono state rinvenute numerose zanne di elefante antico, la più grande delle quali raggiunge i 3,50 m di lunghezza.
Il museo, aperto dal 2015, ci permette di fare una vera e propria passeggiata nella preistoria, seguendo dei percorsi dedicati che spiegano come il deposito si sia formato e illustrando – anche grazie a ricostruzioni tridimensionali e interattive – l’aspetto della campagna romana pleistocenica, frequentata da incredibili animali e da uomini primitivi, millenni prima della fondazione di Roma.
NELLE VICINANZE
Se raggiungiamo la stazione metro di Rebibbia, poco distante da qui, sul muro d’ingresso possiamo vedere un’opera contemporanea ispirata ai ritrovamenti preistorici della zona: un enorme mammut dipinto di bianco. Il suo autore è un geniale artista cresciuto in questo quartiere, Zerocalcare. L’animale preistorico è diventato un vero e proprio simbolo di Rebibbia, un quartiere che non significa solo carcere, ma che possiede una sua forte identità, rivendicata orgogliosamente dalle parole che si possono leggere sul murale.
Ingresso con prenotazione obbligatoria dal martedì al venerdì ore 9.00-14.00, sabato e domenica ore 10.00-14.00
INFORMAZIONI UTILI
Metro B: fermata Rebibbia
Autobus: 311, 341, 350
ZTL: NO
Tappa successiva: NESSUNA
Info di servizio: Ingresso con prenotazione obbligatoria da mar a ven ore 9.00-14.00, sab e dom ore 10.00-14.00
(Testi a cura di Marco Eusepi, podcast a cura di Francesca Chiarantano)
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